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Il ‘caso Ferri’ altera il precario equilibrio tra politica e magistratura

Il ‘caso Ferri’ altera il precario equilibrio tra politica e magistratura

Non capita spesso che in una sentenza della Corte costituzionale il giudice relatore sia diverso dal giudice estensore. E quando capita, tale diversità merita di essere evidenziata perché è l’unico modo – seppur indiretto – che il nostro ordinamento ammette per segnalare all’esterno l’esistenza di un dissenso tra i giudici costituzionali sulla motivazione e/o sulla decisione della Corte. È questo il caso della recente sentenza (n. 157/2023) con cui la Corte ha accolto il conflitto di attribuzioni sollevato dalla sezione disciplinare del CSM contro la Camera dei deputati nel “caso Ferri”.

Come si ricorderà, infatti, l’allora deputato era stato, insieme ad altri, intercettato tramite captatore informatico nel corso del famoso incontro all’Hotel Champagne di Roma in cui si discusse della nomina del nuovo Procuratore della Repubblica di Roma. Da qui la richiesta di utilizzare tali intercettazioni, acquisite nell’ambito del procedimento penale contro altri, nel corso del procedimento disciplinare attualmente a suo carico, nella sua qualità di magistrato fuori ruolo. Come qualificare però tali intercettazioni? Indirette, perché chi le aveva disposte sapeva che alla riunione avrebbe partecipato l’ex deputato? Oppure occasionali, perché la presenza di quest’ultimo era imprevista e imprevedibile? A seconda della risposta cambia il timing dell’autorizzazione che chi vuole utilizzare tali intercettazioni contro il parlamentare deve chiedere alla camera d’appartenenza (art. 68.3 Cost.).

Se l’intercettazione è indiretta, perché mirata al parlamentare sebbene attraverso un suo prevedibile interlocutore, l’autorizzazione deve essere chiesta in via preventiva; con la ovvia conseguenza che il parlamentare saprà in anticipo di essere intercettato. Se, invece, l’intercettazione è occasionale, perché disposta nei confronti di un terzo con cui non si prevedeva il parlamentare avrebbe conversato, l’autorizzazione non può che essere successiva. Nel primo caso, si vuole proteggere il libero esercizio del mandato parlamentare; nel secondo, in assenza evidentemente di un intento persecutorio, solo la sua riservatezza. Da quanto sopra, risulta evidente quanto sia decisivo stabilire se l’intercettazione del parlamentare sia indiretta o occasionale e, dunque, se la relativa autorizzazione vada chiesta in via preventiva o successiva.

E, soprattutto, risulta decisivo chi debba essere a stabilire la natura dell’intercettazione: se il giudice che ha disposto l’intercettazione oppure la camera d’appartenenza chiamata ad autorizzarne l’utilizzo. Era questo, dunque, l’oggetto del conflitto di attribuzioni, scaturito dal fatto che la Camera dei deputati aveva negato alla sezione disciplinare del Csm l’uso di tali intercettazioni perché indirette anziché occasionali, e dunque da autorizzare in via preventiva anziché successiva. Secondo la Corte costituzionale la qualificazione della natura “indiretta” o “occasionale” della intercettazione – con relativo obbligo di autorizzazione rispettivamente preventiva o successiva – spetta esclusivamente all’autorità giudiziaria, seppur sotto il controllo della stessa Corte in sede di conflitto di attribuzioni.

Da qui la prima criticità, forse alla base della rinuncia del giudice relatore (Modugno) a stendere la sentenza (scritta dal giudice Petitti), e cioè la completa emarginazione della camera d’appartenenza, la quale, in sede di autorizzazione all’uso delle intercettazioni effettuate, non può contestare all’autorità richiedente la loro natura mirata nei confronti del parlamentare e, dunque, indiretta, anziché occasionale. Mi sembra questa una notevole compressione dell’autonomia delle camere le quali, nell’esercizio della prerogativa costituzionale prevista dall’art. 68, devono conformarsi alla qualificazione della intercettazione data dall’autorità richiedente, senza poter più contestare ad essa che bersaglio dell’indagine era in realtà direttamente il parlamentare anziché esserne coinvolto in modo accidentale.

È vero che alla fine non cambia nulla, perché – anche dopo l’annullamento della delibera della camera d’appartenenza – la sezione disciplinare del Csm deve comunque formulare una nuova successiva richiesta di autorizzazione all’uso delle intercettazioni ritenute occasionali; richiesta che la camera d’appartenenza potrà concedere o, come probabile, negare, senza poterne però contestare la natura successiva anziché preventiva. Epperò, proprio perché alla fine il risultato è uguale, forse la Corte costituzionale avrebbe potuto meglio tutelare le prerogative della Camera, lasciando ad essa la valutazione definitiva se l’attività investigativa svolta fosse o meno diretta nei confronti del parlamentare.

A tal proposito, un secondo profilo di perplessità nella decisione della Corte scaturisce dalla conclusione secondo cui la valutazione circa la natura indiretta o occasione della intercettazione deve essere effettuata “in modo complessivo e non atomistico” al fine di accertare l’esistenza o meno di “una strategia volta a penetrare nella sfera di ascolto del parlamentare”. D’ora in poi, dunque, il parlamentare potrà essere intercettato, senza necessità di autorizzazione preventiva, non solo quando interlocutore occasionale di terzi ma anche quando la sua interlocuzione è prevedibile se non è lui l’oggetto dell’indagine.

Il che è esattamente quanto accaduto nel caso in specie, dove il pubblico ministero, sulla base di informative precedenti, aveva ritenuto prevedibile la partecipazione dell’ex deputato all’incontro, disponendo in tal caso la disattivazione del microfono del cellulare utilizzato per l’intercettazione. Ritengo tale conclusione una sensibile restrizione della prerogativa parlamentare perché presumibilmente l’ambito delle intercettazioni che il giudice autocertificherà come occasionali si andrà ad ampliare, includendovi non solo quelle in cui il parlamentare sarà ritenuto interlocutore imprevisto ed imprevedibile, ma anche quelle in cui la sua presenza può ritenersi prevedibile, fintantoché egli non diventi bersaglio diretto dell’indagine. Dietro a tali osservazioni critiche sta il recondito, ma non per questo meno preoccupato timore che tale sentenza, al di là delle intenzioni della Corte, contribuisca ad alterare il già precario equilibrio nei rapporti tra politica e magistratura.