L'incontro

Incontro con Meloni su salario minimo, le opposizioni non si fidano di Giorgia: “Che ci andiamo a fare?”

Politica - di David Romoli - 11 Agosto 2023

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Incontro con Meloni su salario minimo, le opposizioni non si fidano di Giorgia: “Che ci andiamo a fare?”

Ma che ci andiamo a fare? Con la sola eccezione di Carlo Calenda se lo chiedono tutti i leader dell’opposizione che oggi, scortati ciascuno dal proprio esperto in materia, si presenteranno all’incontro sul salario minimo convocato da Giorgia Meloni. Come viatico non è dei migliori. “L’incontro è in salita. La premier non ha letto una riga delle nostre proposte”, afferma per esempio Conte.

Se vuole solo ribadire il suo no alla nostra proposta, perché Meloni ci ha convocato”, concordano Bonelli e Fratoianni, Avs, e Riccardo Magi, +Europa si pone la stessa domanda: “Che senso ha questo incontro?”. Appena meno pessimista, ma giusto di un filino, Elly Schlein: “Non è che la premier sta cercando un incidente per far saltare l’incontro?”. L’unico a crederci è appunto Calenda: “Ho fatto una faticaccia per mettere insieme governo e opposizione ma se ognuno si chiude nelle proprie trincee finisce con una nulla di fatto”.

È probabilissimo che vada proprio come il leader di Azione teme. Nonostante la ministra del Lavoro Calderone assicuri che si tratterà di un incontro “leale e aperto, con volontà di ascolto e vera interlocuzione”, i presagi sono foschi. Nel suo lungo video di due giorni fa, quello che spinge i leader dell’opposizione a chiedersi se l’appuntamento abbia senso, la premier ha messo in campo obiezioni sensate, anche se l’opposizione lo nega fieramente, le stesse che animavano fino a pochi mesi fa la Cgil e che spingono ancora oggi la Cisl a bocciare la proposta.

Ha anche parlato del miraggio di una proposta comune maggioranza opposizione. Il fatto è che però non ha fatto neppure mezzo passetto avanti in direzione di una possibile mediazione. Vero è che la stessa critica si potrebbe muovere all’opposizione, che derubricando a “fake news” le obiezioni di Meloni sul rischio di portare a un abbassamento di molti salari, si comporta allo stesso modo, negando la necessità e forse anche l’opportunità di cercare un possibile punto di incontro. L’incompatibilità tra la strada che vuole battere l’opposizione, appunto il salario minimo, e quella indicata dal governo e dalla Cisl, una riforma generale della contrattazione collettiva, è più politica che tecnica. Il governo, che sul fronte del salario minimo ha dovuto registrare una sconfitta cocente rinunciando all’emendamento soppressivo, non vuole che l’opposizione possa sbandierare la sua vittoria su una questione molto popolare come quella del salario. L’opposizione stessa teme che il governo miri solo a restaurare i danni d’immagine sul versante sociale senza pagare alcun prezzo e alcun pegno. Non aiutano incursioni come quella del leghista Durigon, che propone sì di intervenire sulla contrattazione ma non per cancellare i “contratti pirata”, piuttosto per ufficializzarli e legittimarli.

Su queste basi nessun dialogo ha chances di decollo e l’intenzione annunciata dalla segretaria del Pd di mettere sul tavolo non solo il salario minimo ma un po’ tutto, persino le dimissioni di Marcello De Angelis per le sue affermazioni sulla strage di Bologna sarebbe un colpo dio grazia che, oltre tutto, permetterebbe al governo di addossare la responsabilità del fallimento all’opposizione. Proprio Azione prova quindi a mettere le mani avanti: “Si deve parlare solo di salario minimo”. Non parlare di rdc però sarà probabilmente impossibile e lì la distanza tra le posizioni di Giorgia Meloni, indisponibile a ripensamenti o a proroghe di sorta, e quelle dell’asse Pd-5S-Avs è incolmabile. Difficilmente si parlerà invece della tassa sugli extraprofitti, altro capitolo fondamentale nella “svolta” sociale della premier, quella che ha portato ad accuse dissennate come “pianificazione sovietica”, “bolscevismo”, “peronismo d’accatto”. L’abi ieri ha riunito i suoi vertici e ha evitato di far rullare i tamburi di guerra. Le banche si dichiarano “sorprese” per la decisione del governo alla quale intendono però rispondere con “cautela, fermezza, serietà e senso di responsabilità”. Traduzione: nessun braccio di ferro fragoroso ma una pressione nazionale e internazionale massiccia per ottenere ulteriori alleggerimenti del provvedimento, già dimezzato dal tetto massimo del prelievo fissato allo 0,1% del totale attivo dal Mef.

I media e i commentatori italiani hanno dato fuoco alle polveri: populismo, irresponsabilità, velleità sovietiche. Moody’s bolla la tassa come “credit negative” e informa che secondo le sue stime l’utile netto delle principali 5 banche italiane verrà decurtato del 15%. Il Financial Times, beffardo, sostiene che “la Robin Hood Tax danneggia la reputazione dell’Italia”. Ieri il presidente Mattarella ha firmato il decreto Assett, con la tassa all’interno, ma il passaggio parlamentare, in settembre, sarà un percorso di guerra.

11 Agosto 2023

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