Non facciamo il nome della parlamentare di centrodestra che diffonde slogan di propaganda razzista sugli “stupri commessi in Italia dagli immigrati”. Ma se non ne facciamo il nome non è per salvaguardarne la poca rispettabilità: evitiamo di farlo perché, facendolo, degraderemmo l’episodio alla singolarità del caso personale, alla responsabilità individuale dell’interessata, mentre quella sua messaggistica da Ku Klux Klan esprime convincimenti diffusi e contrassegna la tempra civile di una parte drammaticamente notevole dell’opinione pubblica e delle forze politiche che ne vellicano le trippe xenofobe.
Un’altra cosa non facciamo. Non opponiamo a quella propaganda razzialmente orientata, protesa a farsi scienza con l’uso dei grafici in cui la curva degli stupri va di conserva con quella della presenza immigrata, e ostenta veridicità sulla base di quei numeri (i numeri che dicevano che gli ebrei erano usurai, i numeri che dicevano che gli zingari erano geneticamente criminali), non opponiamo a quella ributtante campagna discriminatoria l’argomento ragionevole. E cioè che confondere la causa criminale con una qualsiasi “condizione” significa preparare il terreno in cui si criminalizza la condizione: immigrato e quindi stupratore, straniero e quindi malfidato, mangia-spaghetti e quindi mafioso, nomade e quindi ladro, omosessuale e quindi pervertito. Questo significa adoperare le statistiche sulla frequenza del crimine presso un gruppo sociale: significa predisporre lo schema per cui è in sospetto che vi appartiene. Ma la propaganda razzista non merita che si usino questi argomenti di contrasto. Anche perché non servono. E non servono perché in profondo chi si abbandona a quelle propalazioni sa perfettamente che a ruminarle è razzismo in purezza, un sentimento contro cui l’obiezione ragionevole non ha nessuna efficacia e dopotutto è perfino immeritata.
Non spieghi all’estensore delle leggi razziali che tutti gli uomini sono uguali. Non spieghi al ministro che non si annunciano le ruspe contro le “zingaracce”. Non spieghi al magistrato antimafia che non si fanno prefazioni ai libri scritti da chi ripropone e diffonde i motivi della più oscena cultura antisemita. Queste cose si denunciano e basta, si condannano e basta. E chi se ne rende responsabile deve risponderne in faccia all’opinione pubblica: che a sua volta va denunciata e basta, va condannata e basta se mostra favore per quelle mozioni razziste.
E citiamola, per una volta, senza pretesa di spiegarne il senso a certi comizianti, citiamola questa carta di abusato richiamo, la Dichiarazione universale dei diritti umani: non va di grafici, non va di percentuali, non va di statistiche quando prescrive che quei diritti sono riconosciuti senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. E a chi dicesse che è un po’ sovradimensionato richiamare quei maestosi principi nel discutere di un volantino xenofobo, rispondiamo questo: che aveva cominciato così anche un imbianchino austriaco. C’è il pericolo che succeda ancora? No, probabilmente: ma certo non grazie a chi scrive e diffonde certe cose. E il punto è esattamente questo: non è grazie a chi scrive e diffonde certe cose se si può sperare che nel nostro Paese esse rimangano solo in un volantino.