L'ispezione
Ecco cos’è il carcere, il luogo dove lo Stato viola la legge
Per me è stata la prima volta. Sono stato nella prigione di Brescia, ho incontrato i detenuti. Uno shock, un pugno nello stomaco
Giustizia - di Francesco Rampi
“Se lo Stato non rispetta le sue regole, come può pretendere che io le rispetti”, è la considerazione che più mi ha colpito, fatta da una persona in isolamento, durante la visita del 28 luglio alla Casa Circondariale di Brescia, per tutti Canton Mombello. Una “ispezione” condotta dalla Associazione “Nessuno tocchi Caino”, dalla Camera Penale della Lombardia Orientale con una importante presenza di Magistrati, di Avvocati ma anche di esponenti delle Istituzioni politiche, del Consiglio Comunale e, come nel mio caso, di chi pensa che i diritti (e i doveri) non devono mai fermarsi davanti a nessun cancello o portone. Né quello dei luoghi di lavoro, né dei luoghi di cura, né delle residenze per anziani, né dei luoghi destinati alla detenzione in ottica rieducativa.
L’austera costruzione che migliaia di volte ho circumnavigato nel muovermi in città, mi ha sempre incusso timore, mi ha sempre fatto pensare a una vita fatta di rigore, ai disagi dovuti alla nota piaga del sovraffollamento, alla costrizione per evitare il ripetersi di delitti lesivi dei diritti di altri. Da ora, invece, passando da Spalto San Marco, l’edificio del 1914 mi evoca la mancanza delle regole edilizie, sanitarie e di igiene che qualsiasi funzionario della Amministrazione Comunale o di quella Sanitaria pretenderebbe da ognuno di noi. Sì, sono proprio colpito che nella Brescia ricca di cultura, di solidarietà, di attenzione e difesa degli spazi di democrazia a garanzia di diritti e doveri, manchino elementari elementi della vita collettiva di una popolazione che deve essere indirizzata a non compiere delitti.
Troppo facile sarebbe iniziare dalla inadeguatezza degli spazi. Tutti mi direbbero che proprio dieci anni fa si è ragionato chi sulla costruzione di un nuovo carcere a Verziano, chi sull’uso di una caserma dismessa, ma i fondi disponibili sono solo un terzo di quelli necessari. E allora iniziamo da elementi minimalisti. Per quanto riguarda l’igiene degli ambienti di vita, siamo per alcuni locali alla inagibilità palese. Siamo per l’insieme della struttura a un giudizio di insufficienza rispetto agli spazi comuni: gabbie di separazione per pulire le quali servono piattaforme aeree che mai sono state utilizzate; scale i cui gradini originariamente del colore del Botticino oggi assomigliano a un non meglio identificato laterizio; bagni angusti nella dimensione ma anche non funzionali per chi come me avanti negli anni è impossibilitato a usare la turca che è anche improprio piano doccia.
E, ancora, l’antibagno che qualsiasi regolamento edilizio esige per separare il luogo per l’igiene e i luoghi per il riposo, la cucina o la conversazione. Invece, a Brescia, a due passi dalla movida, l’angusto antibagno è cucina, libreria, dispensa etc. Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, non esiste neppure un posto letto per day hospital o di osservazione per sospetta patologia. O dentro (in cella) o fuori agli Spedali Civili. La sanità penitenziaria è totalmente affidata al Civile che dovrebbe garantire la medicina di base, quella diagnostica e quella specialistica.
Da tutti gli attori coinvolti, la struttura sanitaria è giudicata positiva ma insufficiente e inadeguata per le esigenze dei detenuti psichiatrici presenti (che non dovrebbero essere a Canton Mombello), per coloro che necessitano di supporto psicologico e che in campo diagnostico è ferma a un po’ di anni fa. Sono restato colpito nell’incontro informale con i sanitari di non aver mai sentito ipotizzare percorsi di prevenzione come esige un corretto approccio di tutela sanitaria. Dunque sanità per la acuzie di livello basico. Per quanto riguarda l’educazione, la socialità e l’impegno lavorativo, c’è un animatore ogni 110 persone, per circa una ora al mese per aiutare a elaborare l’errore esistenziale che ha portato a delinquere.
“Lavora” solo un detenuto su cinque per pochi mesi all’anno e per lo più impiegato in servizi “domestici”, come scopino o portavitto. Per me, neofita della frequentazione della casa circondariale, la visita è stata uno shock rilevante con tanti interrogativi a cui rispondere. Per me, attivista da una vita dei diritti degli ultimi, è stata un pugno nello stomaco con un dolore tremendo.