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Napoli, sbarcati 76 profughi dalla Life Support di Emergency: tra loro 7 donne, 24 minori e una bimba di 7 mesi

La Life Support di Emergency è approdata a Napoli per sbarcare i 76 naufraghi soccorsi in acque internazionali in zona SAR Maltese. A sbarco concluso, la nave si sposterà ad Augusta per fare rifornimenti e prepararsi alla missione successiva. I 76 naufraghi soccorsi provengono principalmente da Egitto e Siria, ma anche Etiopia ed Eritrea, tutti paesi – sottolinea Emergency in una nota – colpiti da conflitti, instabilità politica ed economica, e insicurezza alimentare. Tra di loro 7 donne e 24 minori, di cui 16 non accompagnati e una bambina di 7 mesi.

Chi sono i profughi sbarcati a Napoli

I naufraghi, partiti dalle coste libiche la sera del 10 agosto ci hanno raccontato di gravi violazioni dei diritti umani che avvengono quotidianamente nei centri di detenzione. Queste sono storie che, seppur nella loro individualità, contengono degli elementi comuni alle testimonianze raccolte durante altri soccorsi di naufraghi partiti dalla Libia. Da quello che ci viene raccontato, violenze di ogni tipo, estorsioni, rapimenti ed esecuzioni sommarie sono all’ordine del giorno in Libia e restano impunite“, ha dichiarato a Il Corriere del Mezzogiorno, Mohamed Hamdi mediatore culturale a bordo della nave.

La testimonianza

Ma chi sono i profughi sbarcati a Napoli? Secondo una testimonianza raccolta e pubblicata da Il Corriere del Mezzogiorno, “Sono partito dall’Egitto perché la vita lì è diventata insostenibile, non si trova lavoro, è tutto troppo costoso, diventa complicato anche permettersi da mangiare“, ha raccontato un ragazzo egiziano di 26 anni. Che poi ha continuato: “A volte non riuscivo nemmeno a comprare del pane. È vivere questo? Sono il primogenito e i miei fratelli e sorelle più piccoli non hanno modo di procurarsi da vivere in Egitto, quindi ho deciso di partire per cercare lavoro e poter mandare dei soldi a casa.

Le violenze

Era la mia responsabilità verso la mia famiglia. Sono stato in Libia per tre mesi prima di riuscire a partire, ma sono bastati a farmi vedere cose orribili. Sono stato imprigionato insieme ad altre persone egiziane, ci tenevano in una casa piccolissima tutti insieme e ci trattavano come animali. Ci picchiavano quotidianamente, senza motivo, a volte per il gusto di farlo oppure per farsi mandare più soldi dai nostri familiari. È stato terribile. Quando ho visto la nave, pensavo fossero libici e stavo per buttarmi in mare. Avrei preferito morire annegato che tornare in carcere in Libia. Ancora non riesco a credere di essere stato portato in salvo“.