Il braccio di ferro

Salario minimo, Meloni tentenna e la Schlein piazza la prima vittoria della sinistra

La premier non pone veti espliciti sul salario minimo (per alcune categorie di lavoratori) e rivendica la decisione sugli extraprofitti

Politica - di David Romoli - 15 Agosto 2023

CONDIVIDI

Salario minimo, Meloni tentenna e la Schlein piazza la prima vittoria della sinistra

A metà dell’incontro tra governo e opposizioni della settimana scorsa uno dei tanti rappresentanti dell’opposizione convenuti a palazzo Chigi informava via msg la stampa che la situazione era “Tutti sulle posizioni iniziali e palla al centro”. Cioè niente di fatto. Muro contro muro e il classico rinvio finale per non dichiarare il fallimento. In parte è effettivamente l’impressione che si è ricavata dalle dichiarazioni finali dei leader dei partiti che propongono il salario minimo, con la sola eccezione di un Calenda apertamente ottimista. Si tratta però di una conclusione sbagliata.

Al contrario, il vertice ha coronato una retromarcia di Giorgia Meloni che l’opposizione potrebbe e dovrebbe a buon diritto rivendicare come una vittoria, sia pur in un percorso ancora tutto da definire. Nella lunga intervista rilasciata a diverse testate dalla masseria in Val d’Itria dove è in vacanza, la premier butta lì, quasi tra le righe, un’informazione invece importante: la proposta di legge complessiva contro il lavoro povero che si è impegnata a presentare entro 60 giorni, comunque prima della fine di settembre perché le coperture andranno trovate con la legge di bilancio “per alcune categorie può prevedere anche il tema del salario minimo”. La premier non critica la raccolta di firme dell’opposizione sul tema e si sa che nel corso del vertice non ha posto veti espliciti sul salario minimo, sottolineando problemi di merito che non sono solo alibi.

Bisogna inoltre tenere conto del fatto che la proposta stessa del salario minimo riguarda in partenza “alcune categorie” e non tutti i lavoratori: quelle appunto non contrattualizzate o per le quali i contratti vengono aggirati con vari espedienti. Data la posizione di partenza del governo, che mirava a chiudere la partita con rapidità fulminea con un emendamento soppressivo in commissione che avrebbe affossato la legge sul salario minimo in un paio d’ore, si capisce come la sterzata non sia solo una messa in scena. La stessa scelta di affidarsi al Cnel più che un “buttare la palla in tribuna”, come affermano Conte e Magi, serve in buona misura proprio a mascherare la retromarcia del governo. Si tratta solo di una mano, pur se importante, non dell’intera partita e lo scontro non è solo tra governo e opposizione ma anche all’interno della maggioranza.

Sotto il titolo “riforma della contrattazione” il sottosegretario leghista Durigon, spalleggiato da Salvini che nel vertice ha parlato pochissimo e solo per confermare la linea del suo segretario, mira a non incrinare la contrattazione pirata ma anzi a ufficializzarla con forte rischio di potenziarla invece di sconfiggerla. Il tema del lavoro, del salario e della giustizia sociale, grazie all’azione per una volta coordinata delle opposizioni (tranne Renzi criticato per questo persino da una fedelissima come l’ex ministra Bonetti), è diventato centralissimo anche per la politica oltre che per il Paese reale. Ma proprio su questo fronte, oltre al confronto con le opposizioni, si giocano anche i rapporti di forza nella maggioranza.

La premier, nell’intervista di ieri, rivendica in pieno la decisione del prelievo sugli extraprofitti delle banche, rivendicandola come sua esclusiva scelta. Ammette di aver deciso sulla testa del furibondo Tajani, che non era stato neanche avvertito, e persino del ministro dell’Economia Giorgetti, coinvolto in pieno, sì, ma non nella fase iniziale: “Una misura del genere è più facile se la notizia non gira troppo”. Sul salario lo scontro è soprattutto con la Lega, decisa a rappresentare gli interessi della sua eterna base industriale, le piccole e medie aziende del nord. Sul prelievo, invece, il braccio di ferro è con Tajani, mentre l’accordo con Salvini è qui pieno, anche se per verificarne la tenuta bisognerà aspettare la definizione dei fondi che grazie alla tassa saranno reperiti.

Ma sullo sfondo di uno scontro sugli indirizzi di politica economica campeggia quello, esclusivamente politico, sulle alleanze continentali in vista delle elezioni europee. Tajani conferma il veto su qualsiasi intesa con la destra radicale di Marine LePen, per non parlare della innominabile AfD tedesca. Salvini insiste invece per quell’alleanza. La premier mira all’accordo con il Ppe, sulla linea espressa dal suo vicepresidente Tajani, ma non vorrebbe sacrificare del tutto le chances di dialogo con il gruppo di LePen e Salvini. Dunque, per ora, si rifugia, in questo caso davvero nel rinvio: “Non ho l’autorevolezza per mettere veti. Ma il tema non me lo pongo adesso”. Però se lo dovrà porre presto.

15 Agosto 2023

Condividi l'articolo