L’ultima vittima è stato Cristian Mizzon. Aveva 44 anni e una storia fatta di fragilità e solitudine. Un mix mortale quando ci si ritrova dentro un carcere. Quando si è costretti a condividere una cella con altre 4-5 persone (se sei fortunato). Quando non si riesce a lavorare. Quando non si è assistiti adeguatamente. Quando il silenzio prevale su tutto, anche sulla giustizia. Mizzon è deceduto durante la notte di martedì scorso.
Il carcere di Montorio a Verona
I suoi compagni di cella l’hanno trovato senza vita il mercoledì mattina. La notizia è stata resa pubblica solo domenica. E non dalle istituzioni. Il caso è emerso grazie al passaparola tra i detenuti, grazie al lavoro instancabile dei volontari dell’associazione ‘Sbarre di zucchero‘, grazie all’informazione di Radio Carcere. Sul caso vi sono i dovuti accertamenti in corso. Il 44enne sarebbe morto per un’overdose causata da farmaci. Si sospetta l’ennesimo suicidio.
Il caso Mizzon
Il carcere di Montorio a Verona presenta le criticità che purtroppo caratterizzano la gran parte (se non tutti) dei penitenziari d’Italia. Sovraffollamento, strutture fatiscenti, servizi igienici vergognosi, mancanza di acqua calda, scarsa assistenza sanitaria, la quasi assenza di educatori, poche attività ricreative e lavorative, polizia penitenziaria in sotto organico. È questo il contesto nel quale è avvenuta la morte di Mizzon.
Silenzio e ingiustizia
Scenario nel quale, solo tre settimane fa (a fine luglio), è scoppiata una rivolta culminata in un incendio che ha intossicato degli agenti. Eppure, se non fosse per i volontari e le associazioni, tante informazioni resterebbero nascoste. Perché si preferisce il silenzio alla verità. L’ingiustizia alla giustizia. Come è possibile che la morte di una persona in custodia dello Stato, diventi di dominio pubblico dopo ben quattro giorni? Siamo in attesa che chi di dovere fornisca delle risposte.
I volontari
Montorio è il carcere dove si è tolta la vita Donatella Hodo. Per l’attivista Micaela Tosato nel penitenziario di Verona, “sono due le emergenze che meriterebbero particolare attenzione. La prima è quella dell’assenza di lavoro. La cooperativa che si occupava di organizzare le attività professionali nel carcere è stata fatta fuori dopo tanti anni di collaborazione. Il motivo? Anomalie fiscali emerse, così, improvvisamente. Poi c’è l’abuso della terapia, con la somministrazione troppo facile di farmaci pesanti. Ma non è da trascurare la questione igienico – sanitaria: sono solo due le sezioni che hanno la doccia in cella. Immaginiamo 20-25 persone che in un’ora devono farla e condividerla“.