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Perché è fallita la controffensiva di Kiev, ora è il momento della pace

Perché è fallita la controffensiva di Kiev, ora è il momento della pace

Cinquecento. Sono 500 i bambini che, secondo Kiev, hanno perso la vita dall’inizio della guerra in Ucraina, 18 mesi or sono. Altre decine di migliaia sono stati illegalmente deportati in Russia per essere “denazificati”, come recita l’orrida propaganda putiniana. In altre decine e decine di migliaia vivono sotto le bombe e i missili russi o sono fuggiti in Polonia, in Germania, in Italia ovunque la solidarietà occidentale ha raccolto i profughi di questo insensato conflitto.

La propaganda filobellicista che ha orientato potentemente l’opinione pubblica italiana ha rilanciato svogliatamente il dato, si è limitata, come sempre, a far da eco alla campagna di informazione del governo ucraino che ha il doppio problema di supportare il fronte interno di una popolazione stremata e di mantenere alta l’attenzione dei paesi occidentali della Nato nel sostenere lo sforzo bellico. Cifre, spesso inattendibili, sui soldati russi uccisi o sui danni inflitti alle forze armate di Mosca si accavallano al quotidiano censimento dei civili massacrati dalla furia bellica russa.

Ma, sicuramente, Kiev non ha mentito su quel numero tragico di bambini caduti sotto i missili, i droni e le bombe di Putin e quelle 500 piccole croci avrebbero diritto di pretendere che la guerra si fermi, che le armi tacciano, che le vite tornino a scorrere nelle città assediate almeno senza la paura dei crolli, delle macerie, del fumo acre dell’esplosivo. Di pace non si parla, si chiacchiera, si vocifera, ma non si discute veramente. Sulle colonne di questo giornale, con grande sgomento e malcelato fastidio prossimo all’insulto da parte di tanti, lo si era scritto poche ore dopo l’invasione russa: l’Ucraina non ha alcuna speranza di vincere la guerra, figuriamoci se è in condizione di scacciare i russi dalla Crimea occupata illegalmente nel 2014.

Eppure i progetti bellici di Kiev si sono espansi. Dalla comprensibile e giusta volontà di liberare il territorio preso d’assalto dalle truppe russe si è passati all’idea di riprendersi la Crimea in una visione geopolitica e strategica che, certo, avrà un qualche oscuro fondamento, ma che non può che lasciare perplessa la società civile occidentale. Ormai il fallimento della controffensiva di primavera, poi spostata in estate e ora da continuare in autunno, rende chiaro che la Nato non è in condizioni di supportare militarmente l’Ucraina nei suoi pur legittimi propositi di vittoria. Mentre i pochi F16 che entreranno in linea dopo il lungo addestramento dei piloti di Kiev non saranno capaci di contrastare efficacemente l’aviazione russa e la sua micidiale contraerea, Mosca ha incrementato la produzione di missili e di armi, aggirando qualunque embargo e ricevendo pieno sostegno da Pechino.

Un inciso: a occhio e croce par chiaro che i cinesi hanno tutto l’interesse a impegnare in modo asimmetrico la Nato che, nel sostegno a Kiev, sta volatizzando arsenali e dissipando una quantità enorme di denaro. Si vedrà “se vale la pena di morire per Danzica”, come si diceva alla vigilia della Seconda guerra mondiale, ossia se varrà la pena di morire per Taiwan quando l’invasione programmata e annunciata da Pechino avrà corso. Le democrazie occidentali – almeno dalla meschina fuga da Kabul in poi – hanno dato prova di non essere forme di governo capaci di gestire conflitti di lungo e medio periodo.

La Nato ha pacificato venti anni or sono con le bombe la ex Jugoslavia o il Kossovo, ma (per fortuna) le nazioni europee hanno dismesso la guerra dal proprio dna, ne ripudiano le conseguenze e non ne tollerano i costi. Hanno semplicemente imparato per sempre la lezione della Seconda guerra mondiale, al pari del pacifico Giappone. Qualcuno dirà (Putin, Trump) che si tratta di società flaccide, debosciate, ma si deve prendere atto che la pace ha modificato radicalmente la percezione che i popoli europei hanno maturato della guerra e sono francamente patetici i tentativi di buona parte della politica, e di una certa stampa che la sorregge, di rinverdire l’idea di un popolo di baionette e di moschetti, impavido verso le trincee.

500 bare bianche dovrebbero indurre a ragione e portare le parti in lotta a un immediato cessate il fuoco. La linea del cardinale. Zuppi è – come sempre capita alla Chiesa quando si discute della ragione prima delle cose e del bene collettivo – la più corretta: si restituiscano ai genitori i bambini portati in Russia illegalmente e da lì si proceda con uno scambio di prigionieri in vista della progressiva smilitarizzazione di tutta l’area e la creazione di una zona cuscinetto. Corpi innocenti nel Mediterraneo, sulle coste dell’Egeo, in terra Ucraina puntano il dito contro un’Europa che galleggia in confini di dolore.