L'addio al sociologo
Chi era Francesco Alberoni, sociologo che ha rotto lo steccato che divideva ragione e sentimento
Una sensibilità sottile, maturata anche grazie alle proprie esperienze di vita, pronto a rilevare gli elementi più fini e nascosti.
Cultura - di Danilo Di Matteo
Il 14 agosto ci ha lasciati Francesco Alberoni. Visto a lungo come “il sociologo alla moda”, egli ha rappresentato molto di più. Un ponte, tra l’altro, fra le due culture, quella scientifica e quella umanistica. A lungo, poi, i filosofi hanno faticato prima di riconoscere ed esplorare il ruolo di fattori quali i sentimenti e le passioni nell’esistenza individuale e collettiva, talora chiusi in un’idea di ragione senza porte e senza finestre, per parafrasare il grande Leibniz.
Come non ricordare, a proposito dell’opportunità e del dovere di infrangere vecchi steccati, il libro scritto proprio da Alberoni insieme con Salvatore Veca nell’ormai lontano 1988? Il titolo e i sottotitoli sono più che mai eloquenti: L’altruismo e la morale. Quando s’incontrano passione e ragione. Il manifesto del nuovo illuminismo. Già nell’antichità, poniamo, un gigante come Aristotele era attentissimo ad aspetti quali l’amicizia, l’amore, il sentimento, l’affetto, la benevolenza, la passione, il piacere. Tutto veniva descritto minuziosamente.
Con acume, ma forse troppo minuziosamente. Ai nostri occhi, scorgiamo, da nani sulle spalle di giganti come lui, quasi un dissezionare tali fenomeni in maniera un po’ ossessiva, cogliendone i particolari, ma perdendone a volte le sfumature, i chiaroscuri. E a lungo, a dispetto del cristianesimo (la Passione di Gesù, più che mai attiva), si è protratta l’idea delle passioni come espressioni di passività (ciò che si subisce, in contrasto con ciò che si promuove attivamente).
Ecco, Alberoni, considerato magari come il padre di una “tassonomia” da XX secolo del sentimento amoroso, a iniziare dalla celeberrima e articolata distinzione tra innamoramento e amore, era pronto in realtà a coglierne i tratti unitari, gli aspetti reconditi, le alchimie più nascoste. Per poi, naturalmente, tornare a discernere e a soppesare. Una sensibilità sottile, insomma, maturata anche grazie alle proprie esperienze di vita, che mi ricorda quella, squisitamente (post)moderna, di Jacques Derrida, pronto a rilevare, come un vero e proprio rabdomante, gli elementi più fini e nascosti, quelli sommersi dell’amicizia (più o meno amorosa).
Se per lo Stagirita, ad esempio, il senso della vista è il principio dell’amore, la condizione del suo darsi e del suo sussistere, per il filosofo franco-algerino, che cita Montaigne, esso può iniziare come amore per un nome, un semplice nome, che ci entra fin nelle ossa, addirittura prima di una conoscenza diretta dell’altro. E, sempre l’amore, come l’amicizia, tante volte è legato a un filo assai esile, o appeso a qualcosa di ancor più inconsistente ed evanescente, almeno in apparenza; a un puntino, a una lineetta, a un segnale minimo. Ecco, questa sì che è fenomenologia della vita amorosa, e in ciò Alberoni è da annoverare fra i maestri del Novecento.