Il lavoro povero

Salari bassi, ecco perché il Cnel serve

Non sappiamo quali siano le intenzioni del governo. Sappiamo però che se usati nel modo giusto, i dati che ha a disposizione l’organo di consulenza possono diventare la base per una buona legge

Politica - di Cesare Damiano - 18 Agosto 2023

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Salari bassi, ecco perché il Cnel serve

Dopo l’incontro di venerdì scorso tra Giorgia Meloni e i rappresentanti delle opposizioni sul salario minimo, il confronto si preannuncia difficile. Noi pensiamo che, se si vuole trovare una soluzione di merito e tempestiva, ancorata ai tempi della legge di Bilancio, la prosecuzione del dialogo sia indispensabile nonostante la profonda diversità dei punti di vista.

Per questo motivo vogliamo proporre alcuni argomenti di merito perché siamo sempre più convinti dell’urgente necessità di affrontare il tema della povertà del lavoro: ne è testimonianza diretta, che il Governo non potrà ignorare, il grande successo della raccolta delle firme on line promossa dalle opposizioni sulla loro proposta di legge. Il risultato dell’incontro di venerdì è stato variamente commentato: positivo per Governo e maggioranza, che avevano l’interesse a sottolineare la loro disponibilità al dialogo.

Critico per i rappresentanti delle opposizioni: più morbido Calenda, più aspro Fratoianni. Giorgia Meloni, nell’incontro, non ha indicato soluzioni alternative, non ha chiesto alle opposizioni di ritirare la loro proposta e ha voluto coinvolgere il Cnel per studiare l’argomento e suggerire soluzioni “entro 60 giorni”. Quest’ultimo punto è stato giudicato un diversivo: secondo Conte significa “mandare la palla fuori campo”. Per quanto ci riguarda, se si vuole capire la reale consistenza del fenomeno, il Cnel è lo strumento idoneo se utilizzato nel modo giusto: ha in deposito tutti e 1.000 i contratti nazionali, anche quelli pirata, è rappresentativo delle parti sociali e si avvale di noti esperti.

Il Cnel non deve essere inteso come la “Terza Camera” o il “Governo Ombra”, lo ha giustamente sottolineato Elly Schlein, ma può fornire ai decisori politici la giusta documentazione e un quadro ragionato del sistema contrattuale e dei livelli retributivi esistenti: la base di partenza, non di arrivo, per una discussione che conduca il Parlamento ad adottare una soluzione politica.

La presidente del Consiglio deve sapere che, in assenza di un intervento sul salario minimo e sul cuneo fiscale (nel caso in cui non venga prorogata o, meglio, resa strutturale dal 2024 la fiscalizzazione dei 7 punti almeno per i salari lordi annui fino a 25.000 euro), alcuni milioni di lavoratori perderanno circa 90 euro netti mensili in busta paga. Sarebbe paradossale se, volendo migliorare le retribuzioni, il Governo ne causasse l’impoverimento a partire da gennaio del prossimo anno. Veniamo al merito.

Il salario rappresenta una componente essenziale del benessere dei lavoratori, ma la sfera della tutela contrattuale complessiva non può essere trascurata perché comprende diritti anch’essi fondamentali che sono il frutto di più di un secolo di lotte sindacali: potremmo ricordare, come esempio, la battaglia iniziata a fine ‘800 per la conquista della giornata lavorativa di 8 ore; i premi di produzione, la contrattazione aziendale e le 40 ore settimanali degli anni 60; la parità normativa operai-impiegati e l’inquadramento professionale unico degli anni 70; le tutele per maternità, malattia e infortunio; il welfare integrativo previdenziale, sanitario e aziendale dei decenni più recenti, e molto altro ancora.

Se è sicuramente giusta e opportuna l’iniziativa delle opposizioni sul salario minimo perché ha contribuito a rimettere al centro del dibattito politico e sociale la questione del lavoro, ormai siamo tutti consapevoli che da solo il minimo di legge non basta a risolvere il problema del lavoro povero. La condizione di working poor, fenomeno che si è affermato nei tempi recenti a seguito di politiche che hanno progressivamente precarizzato il rapporto di lavoro, deriva da un complesso di fattori: tabelle salariali inadeguate, normative di scarsa qualità, appalti al massimo ribasso e subappalti in dumping salariale, false cooperative sociali, disapplicazione e derogabilità di leggi e contratti, lavoro nero e grigio, discontinuità lavorativa e orari “corti”, come il part time imposto dalle aziende e non come scelta condivisa di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro.

Del resto, la proposta di legge delle opposizioni ha l’obiettivo di istituire il salario minimo come strumento di rafforzamento della contrattazione, non il suo contrario. Bisogna sapere che, senza controlli adeguati e preventivi, sarà sempre più difficile far rispettare leggi e contratti: le statistiche sui risultati del lavoro degli ispettori confermano l’enorme percentuale di irregolarità. Da queste considerazioni di estrema sintesi vogliamo partire per illustrare le nostre idee sul tema, al fine di fornire alcuni argomenti che, come abbiamo già ricordato, diano continuità al confronto: non vogliamo correre il rischio di smarrire un contenuto così importante e non più rinviabile nelle nebbie della prossima legge di Bilancio o di confinarlo all’interno di uno sterile confronto pregiudiziale.

Non ci arrendiamo al fatto di doverci trovare di fronte a un bivio inevitabile: cercare un compromesso o politicizzare lo scontro. La ricerca di un accordo è l’unica che può affrontare un problema così complesso e per percorrerla il Governo deve far cadere il suo pregiudizio contro il salario minimo. Per comodità procediamo per punti:

1) occorre ripartire, dunque, dalla centralità della contrattazione e dalla sua qualità, non relegando la discussione al Trattamento Economico Minimo, ma allargandola al Trattamento Economico Complessivo;

2) come primo atto, sarebbe utile sfidare il Governo sul recepimento per legge dei trattamenti economici minimi dei contratti leader o maggiormente rappresentativi, categoria per categoria, conferendo loro il valore erga omnes e stabilendo così un primo e importante principio: l’inderogabilità dei salari minimi di ciascun contratto di lavoro rappresentativo. Questa scelta, che non ha alcun costo, può rappresentare il punto di partenza per la riapertura di un dialogo costruttivo e per il riconoscimento erga omnes del Trattamento Economico Complessivo, perché il vero obiettivo da perseguire è la qualità e la fruibilità del salario e delle normative che caratterizzano i contratti nazionali di lavoro;

3) suggeriamo di istituire da subito una Commissione, o uno strumento equivalente, formata da rappresentanti di Governo, Parlamento e, soprattutto, delle parti sociali, che vanno coinvolte. Utilizzando i risultati dell’indagine del Cnel, si dovrebbe perseguire l’obiettivo di individuare una soglia minima salariale di legge ancorata agli andamenti reali delle retribuzioni e i criteri per una sua indicizzazione annuale partendo dall’esame della proposta dei 9 euro lordi orari;

4) tale soglia, una volta individuata e concordata, andrebbe immediatamente applicata ai lavoratori, una stretta minoranza, che non dispongono di un contratto nazionale di lavoro di riferimento: pensiamo a figure contrattualmente deboli come i lavoratori dipendenti dalle piattaforme digitali governate dagli algoritmi;

5) i contratti al di sotto della soglia minima, individuata attraverso il confronto con le parti sociali, andranno gradatamente innalzati mediante due interventi contemporanei e complementari: l’aggiornamento delle regole della contrattazione e il loro rafforzamento attraverso il sostegno della fiscalità: ad esempio, decontribuire gli aumenti dei contratti che rispettano le normali scadenze e che devolvono il vantaggio fiscale tutto ai lavoratori; un fondo nella legge di Bilancio a beneficio dei datori di lavoro per l’innalzamento del salario minimo come previsto dalla proposta di legge delle opposizioni;

6) accanto all’intervento sul salario minimo va chiarito quello relativo al cuneo fiscale: i 7 punti che sono stati fiscalizzati dal Governo valgono solo per sei mesi e andrebbero resi strutturali. In questo modo le paghe più basse verrebbero innalzate automaticamente di poco più di 1 punto percentuale, rendendo più a portata di mano l’obiettivo del raggiungimento di un salario minimo dignitoso;

7) la cifra di 9 euro, confermata dalla proposta di legge delle opposizioni, è la stessa contenuta nel ddl, a prima firma Nunzia Catalfo, presentata il 12 luglio 2018. Sono passati 5 anni e nel frattempo si è registrata una impennata dell’inflazione: lo scorso anno è arrivata al di sopra dell’8% ed è del 6% per l’anno in corso. Cumulativamente, nei cinque anni, il tasso di inflazione è aumentato di 18-20 punti percentuali. È evidente che i 9 euro rappresentavano e rappresentano una cifra simbolica (altrimenti sarebbe stata rivalutata e portata, considerata l’inflazione, a 10,60-10,80 euro orari) che va collegata, nel futuro, alle reali dinamiche salariali attraverso precisi meccanismi di indicizzazione: In caso contrario, a causa della svalutazione, il salario minimo di legge tornerebbe ad essere povero. L’indicizzazione è prevista all’articolo 5 della proposta di legge dei partiti di opposizione: “Commissione per l’aggiornamento del valore soglia del trattamento economico minimo orario”.

8) infine, si debbono calcolare prime ipotesi di costo di questa operazione necessaria e socialmente equa. Quanto costa l’aumento di 1 euro lordo orario che comprende paga base più contingenza? Su base mensile vale 173 euro (1 euro moltiplicato 173 ore che sono quelle mediamente lavorate in un mese secondo la maggior parte dei contratti, a partire da quello dei metalmeccanici); la cifra va poi moltiplicata per 13 mensilità, e si arriva a un totale di 2.249 euro annuali; questa cifra, a sua volta, va moltiplicata per circa 3 milioni di lavoratori: il totale corrisponde a un costo annuo di 6miliardi e 747 milioni. Se i punti, anziché 1, fossero mediamente due, saremmo a più di 13,5 miliardi di euro. Occorre sapere rapidamente qual è il valore medio dei punti da aumentare censendo con precisione quanti lavoratori stanno al di sotto di 9, 8, 7 e 6 euro lordi orari, se si vuole inserire in legge di Bilancio una risorsa finanziaria che non sia respinta dalla Ragioneria dello Stato per mancanza di copertura.

Del resto, la proposta di legge delle opposizioni, all’articolo 7 recita: “La legge di bilancio per il 2024 definisce un beneficio in favore dei datori di lavoro, per un periodo di tempo definito e in misura progressivamente decrescente, proporzionale agli incrementi retributivi corrisposti ai prestatori di lavoro al fine di adeguare il trattamento economico minimo orario di 9 euro…”. Dopo l’enunciazione del principio bisognerà quantificare la cifra. Si tratta di un investimento sociale che deve diventare una priorità della legge di Bilancio. Il Governo, che si dichiara favorevole alla lotta al lavoro povero, non può sfuggire a questo problema. Questa sarà la vera battaglia dell’”autunno caldo”. Lo stesso costo di 13 miliardi circa è stimato per il mantenimento nel 2024 del cuneo fiscale;

9) per concludere, alla luce delle considerazioni appena svolte, la Presidente del Consiglio dovrà fare una attenta ricognizione delle risorse complessive da prevedere nella prossima legge di Bilancio. Ci limitiamo a fare un elenco dei principali temi sociali che richiedono una copertura finanziaria: riforma del fisco, delle pensioni e della sanità; Trattamento di Fine Servizio per i dipendenti pubblici non più rateizzato o posticipato; salario minimo; cuneo fiscale. La cifra complessiva, a occhio, potrebbe essere superiore ai 50 miliardi, non ai 30 di cui si parla, a meno che non vengano adottate soluzioni omeopatiche. È evidente che dovranno essere operate delle scelte, così come è chiaro che per il Governo risulterà sempre più difficile far coincidere le svariate promesse elettorali con le sue realizzazioni concrete. Qualcuno l’ha già ribattezzato il Governo del “Vorrei ma non posso”.

18 Agosto 2023

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