Parla il giornalista americano
“Scegliere Trump vorrebbe dire scegliere l’addio alla democrazia”, parla Alexander Stille
«Il tentativo della destra per rovesciare il diritto all’aborto può trasformarsi in un boomerang anche nelle elezioni future, portando ad alleanze, coalizioni tra democratici, indipendenti e repubblicani moderati»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Nelle presidenziali del prossimo anno non si scontreranno “conservatori” e “progressisti”, ma due visioni opposte, antitetiche, dell’America, dei suoi valori, della sua identità, dei principi fondanti del suo sistema democratico. Comunque andrà a finire, non sarà di certo un’America pacificata. Quanto a Joe Biden potrà non essere il presidente ideale, la sua carta d’identità non dà conto, come peraltro Trump, di un rinnovamento generazionale. Biden è l’“usato sicuro” per sconfiggere Trump, ed è questo ciò che conta.
Ad affermarlo è Alexander Stille. Giornalista e scrittore statunitense, Stille collabora con prestigiose testate come The New Yorker e The New York Times, e insegna giornalismo alla Columbia University. Tra i suoi libri, tradotti in Italia, ricordiamo La forza delle cose. Un matrimonio di guerra e pace fra Europa e America (Garzanti); La memoria del futuro. Come sta cambiando la nostra idea del passato (Mondadori); Citizen Berlusconi. Il cavalier miracolo. La vita, le imprese, la politica (Garzanti); Cinque famiglie ebraiche durante il fascismo (Garzanti); Nella terra degli infedeli (mafia e politica nella prima Repubblica) (Mondadori). In America è uscito da poco il suo ultimo lavoro The Sullivanians: Sex, Psychotherapy, and the Wild Life of an American Commune Farrar, Straus & Giroux, che sta riscuotendo un successo di critica e di lettori.
- Donald Trump incriminato per la quarta volta, l’ex Presidente accusato di aver voluto ribaltare il risultato delle elezioni in Georgia nel 2020
- Trump arrestato per l’assalto a Capitol Hill e subito rilasciato: “Un’altra incriminazione e vinco le elezioni”
- Donald Trump arrivato in Tribunale a Washington, in aula presente il Procuratore Smith: “Un’altra incriminazione e vinco le elezioni”
L’intervista a l’Unità avviene nel vivo della vicenda giudiziaria che ha investito l’ex presidente Usa. Donald Trump ha fatto pocker di incriminazioni: la quarta (in cinque mesi) è arrivata al termine di una lunga ed estenuante vigilia di Ferragosto, quando la giuria della contea di Fulton ad Atlanta, in Georgia, ha approvato prima del previsto le accuse illustrate dalla procuratrice distrettuale (dem) Fani Willis dopo aver sentito alcuni testimoni chiave. L’ex presidente, che dovrà presentarsi nuovamente in aula per le formalità di rito entro il 25 agosto, è stato incriminato per aver tentato di sovvertire in vari modi l’esito del voto presidenziale in Georgia nel 2020, in una cospirazione con altre 18 persone. Tra loro anche il suo ex avvocato personale Rudy Giuliani, il suo ex chief of staff Marc Meadows, nonché i legali Kenneth Chesebro e John Eastman, considerati gli architetti del piano.
Le accuse, articolate in ben 41 capi di imputazione (13 per Trump), ruotano intorno alla legge anti racket: quella usata contro le associazioni criminali, anche di stampo mafioso, per condannare non solo gli esecutori ma anche i mandanti. Tra i reati, la cospirazione per impersonare un pubblico ufficio (la vicenda dei falsi elettori) e commettere una serie di falsi (le affermazioni infondate sulle elezioni truccate), nonché l’aver sollecitato un pubblico ufficiale a violare il suo giuramento di fedeltà: si tratta della famigerata telefonata fatta da Trump all’allora al segretario di Stato repubblicano Brad Raffensperger per chiedergli di trovare 11.780 voti necessari a fargli superare Joe Biden. La partita è del tutto aperta. Biden e Trump sono testa a testa. In un ipotetico scontro fra i due alle elezioni del 2024, il 47% degli americani voterebbe Biden e il 46% Trump. È quanto emerge da un sondaggio di Quinnipac. La parola ad Alex Stille.
Professor Stille, il destino dell’America è di dover scegliere il nuovo inquilino della Casa Bianca tra un plurinquisito e un presidente che viene descritto come, mettiamola così, un po’ rintronato?
In parte sì, anche se la descrizione di Biden che lei riporta mi pare francamente un po’ esagerata. Biden ha 80 anni, certamente è un uomo anziano ma non abbiamo nessuna prova che nella sua funzione governativa è mancante.
Ha mostrato buon giudizio in situazioni molto complicate, come l’invasione russa dell’Ucraina, ed anche per quanto riguarda l’economia. C’è una certa divaricazione tra realtà e narrazione per quel che concerne il racconto di Biden. Un divario tra la prestazione di Biden, il suo operato, e la sua immagine pubblica. Tutto sommato è stato un presidente piuttosto efficace, governando abbastanza bene in una condizione molto difficile.
E su Trump, anche qui c’è una divaricazione tra narrazione e realtà?
Credo cha descrizione di Trump sia azzeccata. Nel senso che abbiamo un candidato è apertamente anti democratico. Un presidente in carica convinto che può invalidare i risultati elettorali che non gli piacciono, attraverso il suo vice, è una idea che non sta né in cielo né in terra in nessun paese che conosciamo. È una cosa completamente folle. In più ha mostrato tratti autoritari in tutte le direzioni. Quello che vediamo, la qualcosa è molto preoccupante, è che gli ultimi due-tre anni avrebbero squalificato qualsiasi candidato che si fosse comportato come ha fatto Trump…
Invece?
Invece due terzi dei repubblicani rimangono estremamente fedeli ad una figura che assomiglia più a Juan Peron che non a un presidente americano. Abbiamo un paese profondamente diviso, profondamente polarizzato, in cui i fatti più elementari, come i risultati di una elezione i cui voti sono stati contati, ricontati e ricontati ancora, non incide minimamente nel pensiero e nelle convinzioni del 30-35% della popolazione americana. Come usciamo da questa situazione di estrema polarizzazione è un problema che finora nessuno sa risolvere. Questo secondo me è il nocciolo del problema.
La strada per la nomination nel Partito repubblicano è ormai spianata per Donald Trump?
Secondo i sondaggi sembrerebbe di sì, ma in un certo senso considero un peccato che i meccanismi della giustizia americana si siano messi in movimento così tardi.
Perché, professor Stille?
Se le varie incriminazioni di Trump fossero avvenute un anno fa, avrebbero potuto creare un momento di ripensamento e aprire possibilità per altri candidati. Purtroppo venendo così, con la campagna elettorale di Trump già annunciata, per molti elettori americani quelle incriminazioni sembrano atti di inquisizione politica e quindi tendono a smontare i fatti che hanno portato a queste indagini e ai rinvii a giudizio di quello che per una parte significativa degli americani, resta un perseguitato politico se non addirittura un eroe. La maggioranza degli elettori repubblicani – contro ogni evidenza – crede che le elezioni del 2020 siano state rubate. Otto su dieci credono che il sistema politico sia “contro i conservatori” e che “potremmo dover usare la forza per salvare” il tradizionale stile di vita americano. Visto in quella luce, il tradimento diventa patriottismo.
Come definirebbe l’America che ancora si affida al tycoon?
È un enigma che rende perplessi praticamente tutti. Secondo me, una parte della spiegazione sta nel fatto che molti dei ceti più abbienti, più colti, hanno sottovalutato il dolore, lo spaesamento che hanno accompagnato la globalizzazione e la perdita di posti di lavoro nel settore industriale manifatturiero. Il paradosso americano, e su questo i progressisti, non solo in America, dovrebbero seriamente riflettere, è che aver sposato in toto, quasi fosse una religione laica, la globalizzazione, sottovalutando le ricadute dolorose sul piano sociale, dei processi di deindustrializzazione e di delocalizzazione, facendo così che molti lavoratori vedessero in un miliardario il paladino della lotta contro una globalizzazione che puniva le tute blu e in parte anche i colletti bianchi americani. A ciò si aggiunge il cambiamento demografico in atto. Se si pensa che i bianchi negli Stati Uniti erano, agli inizi degli anni ’60, il 90% della popolazione, ora sono il 70% e possono essere meno del 50% tra un paio di decenni. Questo processo fa scattare un sentimento di paura, di arroccamento, per chi, la popolazione bianca, vedere tramontare o comunque essere fortemente insidiato quel mondo del quale fino a poco tempo fa erano i dominatori assoluti o quasi.
Trump è riuscito a fare leva su questo sentimento di perdita di potere, anche se la politica che lui ha condotto, in realtà ha portato molto poco a questi ceti. Trump ha fatto tagli alle tasse e ai servizi che puniscono questi ceti che pure lo votano.
Nel campo dei Democratici quali sono le cose più interessanti che ha potuto verificare?
Un fatto interessante che è avvenuto pochi giorni fa nello stato dell’Ohio, in cui i Democratici hanno proposto un voto per stabilire il diritto all’accesso all’aborto. I Repubblicani hanno cercato di invalidare questo voto, chiedendo un referendum che alzava la soglia per cambiare la costituzione dello stato, portandola dal 50% al 60%, rendendo così molto difficile l’approvazione dell’emendamento per il diritto all’aborto. Hanno perso 60 a 40%. I repubblicani hanno chiesto che il referendum si tenesse, nel mese di agosto, pensando che nessuno sarebbe andato a votare e che quindi avrebbero vinto. Invece è successo il contrario. Hanno votato milioni di persone ed è estremamente significativo che molti repubblicani più moderati hanno votato per non cambiare le regole permettendo così lo svolgimento del referendum. E questo a mio avviso è interessante, perché il tentativo della destra per rovesciare il diritto all’aborto può trasformarsi in un boomerang anche nelle elezioni future, portando ad alleanze, coalizioni tra democratici, indipendenti e repubblicani moderati.
È una forzatura affermare che nel 2024 in America non si scontrano soltanto due linee politiche ma due visioni di sé stessa e dell’idea di democrazia?
Le presidenziali saranno un referendum sulla democrazia. Vogliamo essere un paese democratico in cui quando la maggioranza vince può governare oppure vogliamo qualcos’altro?