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Mes, extraprofitti e accise: la zuffa tra Tajani e Salvini fa tremare Meloni
Pronta una lettera di richiamo della Bce che contesta la mossa del governo. Che entro due mesi dovrà ratificare il fondo salvastati, pena lo strappo con l’Ue. E intanto non si spegne il fuoco delle accise: ora Meloni balla sul filo
Politica - di David Romoli
La Bce spalleggerà Tajani nella sua crociata contro la tassa sugli extraprofitti. Come sarà comunicata la censura di Francoforte è ancora incerto, quasi certamente una lettera di Lagarde piena di critiche di merito ma anche di metodo, per non aver avvertito in anticipo la Banca centrale.
L’aspetto assurdo dell’implicito e oggettivo appoggio europeo alla crociata del leader azzurro è che proprio FI è il partito che più di tutti addebita proprio alla Bce la responsabilità della crisi dei mutui, tanto che a botta calda, subito dopo il varo del provvedimento, proprio Tajani aveva preso di mira la Banca centrale giustificando il prelievo con la necessità di “correggere gli errori della Bce”. Tuttavia, oggi, proprio il probabilissimo bollino rosso di Francoforte verrà brandito dal leader di Fi come ulteriore argomento per reclamare interventi drastici sul prelievo.
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Per Tajani, al momento, le correzioni che renderebbero potabile, anzi persino “giusta”, la misura sono essenzialmente due: la deducibilità del prelievo e l’esenzione per gli istituti di credito più piccoli. Oltre, naturalmente, ad alcune assicurazioni più o meno esplicite: la garanzia che il blitz non si ripeterà su altri fronti e che non capiterà di nuovo che misure importanti vengano decise senza consultarlo e neppure avvertirlo. La premier si troverà così tra due fuochi: la necessità di confermare i buoni rapporti con la Ue e la Bce, un pilastro del suo governo, e quella di difendere una misura che lei stessa ha rivendicato in prima persona come decisione sua e solo sua. Si tratterà di una porta stretta che diventerà nel giro di un paio di mesi strettissima, perché il dilemma si riproporrà a proposito della ratifica del Mes.
La sofferta scelta non potrà essere rinviata di molto, tutt’al più il governo potrà arrivare a novembre. Nel giro di due o tre mesi, dunque, Giorgia Meloni dovrà decidere se entrare in rotta di collisione con Bruxelles su un tema per la Ue essenziale come la ratifica della riforma Mes oppure rimangiarsi quanto affermato sino a poche settimane fa col rischio molto concreto di spaccare la maggioranza. La ratifica passerebbe comunque ma se la Lega votasse in modo diverso da FdI e Fi l’incidente sarebbe di prima grandezza e forse, nel giro di qualche mese, fatale.
Bivio e dilemma anche sul fronte dei prezzi, o meglio delle accise. A quegli “extraprofitti” il governo proprio non può rinunciare perché già così le coperture per la legge di bilancio latitano e quelle entrate sono essenziali per confermare il taglio del cuneo fiscale, l’unica misura della finanziaria che non può essere messa in discussione. Ma il morso del rialzo dei prezzi ormai morde a fondo e mette in pericolo il livello di consenso. Urso, in tutta evidenza, spera che la fiammata si spenga da sola con l’estate, salvando il governo dall’obbligo di mettere un freno alla corsa del prezzo del carburante.
Ma se le acque non si saranno calmate per la fine di settembre la richiesta di un intervento sulle accise come quello deciso da Draghi nel 2022 diventerà martellante e troverà certamente sponde e megafoni, soprattutto leghisti, anche all’interno della maggioranza e del governo. L’intera partita dei prezzi, con un’inflazione che negli alimentari è ancora a due cifre, si profila come una spina nel fianco del governo.
La proroga del cuneo tagliato non basterà a restituire potere d’acquisto in misura sufficiente e la Lega è ben decisa a cavalcare il disagio sociale reclamando stanziamenti a ristoro delle fasce di popolazione più colpite. Anche in questo caso la presidente dovrà scegliere se proseguire sulla strada del rigore imboccata l’anno scorso, con gran gaudio della Ue e della Bce, anche a costo di alienarsi simpatie e consensi e di mettere a rischio la compattezza della maggioranza.
Non si tratta in tutta evidenza di un rischio immediato. Comunque vada a finire quello che la stessa premier definisce “un autunno molto impegnativo e importante” nessuna scossa minaccerà la tenuta del governo sino alle elezioni europee. Ma le tensioni che potrebbero accumularsi nei prossimi mesi costituiranno un barile colmo di esplosivo. Risultati particolarmente deludenti per la Lega, per Fi o per entrambi il prossimo giugno potrebbero essere la scintilla accostata a quel barile.