Parla il sindaco di Prato
“Accoglienza dei migranti in tilt, colpa di Meloni. Servono hub”, intervista a Matteo Biffoni
Il sindaco di Prato: «Chiediamo l’apertura di un tavolo operativo tra l’esecutivo e le amministrazioni locali. Ma il ministro Piantedosi continua a non volere il confronto con i comuni»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Se non è una rivolta, ci va molto vicino. Di certo, quello che si sta manifestando da parte dei sindaci è un malessere diffuso, trasversale all’appartenenza politica, nei confronti di un governo che sta smantellando il sistema di accoglienza dei migranti. A dar conto di una protesta che non si placa è Matteo Biffoni, sindaco di Prato (Pd) e delegato per l’immigrazione dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani). Quello del presidente dell’Anci Toscana è un accorato grido d’allarme: “Siamo sull’orlo del tracollo – afferma Biffoni – e dal governo non arriva nessuna risposta. E il decreto Cutro non ha fatto che peggiorare le cose”.
Quanto a Prato, di cui è primo cittadino, Biffoni ribatte così alle accuse della destra e di una certa stampa mainstream: “Su Prato non intendiamo prendere lezioni da nessuno. La città di Prato sull’accoglienza e la gestione dell’immigrazione dà lezione all’Italia intera, compreso al Viminale. Siamo una città dove i servizi immigrazione da anni gestiscono il fenomeno in ogni suo aspetto, con giunte di sinistra e con quella di destra, perché altrimenti il Viminale non ha idea di cosa sia questa città”.
Il Governo sta di fatto smantellando il sistema di accoglienza. Su questo è esplosa la protesta pressoché generalizzata dei sindaci. Il Viminale ha liquidato come “polemiche surreali” le denunce dei primi cittadini.
Più che smantellare, direi che hanno fatto delle scelte. Che stanno dentro il dl 50, impropriamente definito “Cutro”. Hanno ristretto fortemente il campo operativo dell’accoglienza, soprattutto per quanto riguarda i Cas, i Centri di accoglienza straordinaria gestiti dai prefetti, ma anche il passaggio dentro ai Sai (Sistema di accoglienza e integrazione, ndr), un sistema gestito dai Comuni.
I numeri sono esplosi. Il sistema sta collassando perché ovviamente rispetto all’anno scorso, 48.000 persone sbarcate, quest’anno siamo già a 102.000 ma probabilmente mentre noi stiamo conversando ne stanno arrivando altri. A fronte di questo incremento fortissimo, non c’è stata una reazione di organizzazione rispetto a questa situazione. Anzi, il Governo sembra non essere nelle condizioni di prendersi carico di quelle che sono le tensioni sui territori. Una situazione che rischia di farsi esplosiva anche per altre ragioni…
Quali?
I grandi operatori dell’accoglienza – Caritas, Arci e altri – si sono tirati indietro. I bandi vanno deserti. I numeri continuano a salire. Gli arrivi sono quotidiani, prefetti stanno lavorando in extra soglia, ma possono arrivare fino a un certo limite. In un Cas con una capienza di 50 persone, se ne possono mettere 60 o 70, ma non 500. Tutti quanti, dai sindaci del PD a quelli della Lega, sono imbufaliti perché arrivano sui territori in maniera indiscriminata o quasi, cosi come i presidenti di Regione. Luca Zaia che non credo sia un bolscevico pericolosissimo, ha detto guai ai grandi centri, i sindaci sono in difficoltà, lo stesso sottosegretario Molteni ha dichiarato in una recente intervista che bisogna ascoltare i sindaci, capisco il loro grido di dolore. La situazione è abbastanza chiara e netta. Se non c’è una forma di organizzazione diversa sul contingente non ce la facciamo. Il sistema si rompe, in particolare sui minori non accompagnati, ma anche sugli adulti.
Poi c’è un tema di lungo periodo. È un discorso che so essere indigesto anche dalle mie parti politiche ma che onestà intellettuale va fatto.
Di cosa si tratta?
Io imputo ai governi di centrosinistra, di centrodestra, tecnici, il fatto di non aver mai messo mano alle regole del gioco definitive, quelle delineate dalla Bossi-Fini. Ma questo è una risposta sul medio e lungo periodo. Sul contingente bisogna intervenire subito, perché il sistema sta implodendo. Per questo sarebbe essenziale e urgente l’apertura di un tavolo operativo tra Governo e amministrazioni locali. Ma il ministro Piantedosi continua a non volere il confronto con i Comuni.
Si continua invece in una logica emergenzialista.
Questo è un grande dramma storico. L’attuale Governo ha l’aggravante di aver promesso agli italiani porti chiusi, sbarchi finiti, basta al buonismo del PD. Gli sbarchi sono più che raddoppiati. Questa è la grande aggravante. Quello dell’emergenzialità è un tema diffuso che non nasce oggi. Io dal 2015 mi occupo per l’Anci d’immigrazione. Ho avuto a che fare con governi di centrosinistra, centrodestra, tecnici, e tutti hanno continuato con questo refrain, quello dell’emergenzialità. Per superare la quale, c’è solo una cosa da fare…
Quale sarebbe?
Rimettere mano alle regole del gioco, che sono quelle della Bossi-Fini. D’altro canto, anche uno dei due padri di quella legge, Gianfranco Fini, ha detto di recente che quel testo, di venti anni fa, il testo è ormai superato e va riscritto daccapo. Una logica emergenziale che ha attraverso tutta la politica di questi anni. Nessuno ha avuto il coraggio di mettere le mani su una materia incandescente come è quella dell’immigrazione. Ognuno ha fatto le sue scelte – Minniti, Salvini, la Lamorgese… – ma la logica dell’emergenza è rimasta l’architrave portante del sistema. Non funziona. Perché non c’è emergenza, Quello delle migrazioni è un dato strutturale, sul quale bisogna intervenire in modo strutturale, rinnovando le regole del gioco. Poi c’è un contingente dell’oggi, quello sugli sbarchi, ma sono due piani diversi. Il fatto che si continui a trattare l’immigrazione come emergenza è qualcosa che non sta né in cielo né in terra.
C’è ancora una visione che vede il migrante solo come problema.
Questo è un tema antico, su cui si potrebbe discutere per ore. Attenzione, però. Il ragionamento che fai è quello corretto sull’immigrazione. Una persona che decide a un certo punto di venire a vivere nel nostro paese, lo fa perché cerca un futuro migliore, se possibile porta la sua famiglia, cerca un lavoro… Il problema è che in questi anni non abbiamo parlato di questo, cioè dell’immigrazione vera, l’inserimento scolastico, la mediazione religiosa. Abbiamo parlato di sbarchi, di emergenza, di persone che arrivano a Lampedusa o che attraversano il confine a nord-est. Di questo continuiamo a parlare, che è un’altra cosa. Ognuno la può vedere come crede, una grande opportunità o la peggiore delle iatture, a secondo della propria formazione culturale, per me è una grande opportunità. Ma il nostro paese non parla di questo. Parla di sbarchi. Che è una cosa completamente diversa.
Come delegato dell’Anci per l’immigrazione, oltre che come sindaco di Prato, cosa si sente di chiedere per prima cosa al Governo?
Gli hub di primissima accoglienza per i minori stranieri non accompagnati. Luoghi sicuri dove portare i bambini, gli adolescenti, dove possano trovare persone formate, qualificate, dedicate a loro, dove si inizi a fare formazione anche psicologica. Questa è la cosa più urgente da fare. E poi allargare le maglie dell’accoglienza, rivedendo il dl50.
Sul piano umano, personale, cosa le ha portato il contatto con queste persone che fuggono da guerre, disastri ambientali, povertà assoluta?
Penso soprattutto ai bambini, ai ragazzi. Sono storie pazzesche. Ragazzi di vent’anni che ti raccontano che sono scappati dai campi in Nuova Guinea, l’attraversamento del deserto, le botte, gli abusi, il lavoro come schiavi, le torture, aver visto gente, famigliari, amici morire. Storie che toccano il cuore. È necessario ascoltarli, perché sono storie tremende.
Perché questa sensibilità sembra appartenere soltanto o soprattutto al mondo cattolico? La sinistra ha perso questa umanità?
No, non credo che sia così. La dico così: soprattutto noi sindaci siamo diventati molto realisti, forse troppo, presi dalla necessità impellente di tutelare le persone che arrivano e allo stesso tempo farci carico delle comunità che accolgono. Certe volte siamo diventati un po’ aspri, ma la sensibilità dell’accoglienza c’è e continua ad esserci. Da questo punto di vista il mondo cattolico fa indubbiamente un grande lavoro ma penso anche alle grandi organizzazioni umanitarie, Unicef, Save the Children, ad un mondo che su questi temi c’è e c’è sempre stato.
Da ministro dell’Interno, Marco Minniti sostenne, allora con il plauso di gran parte del PD, che “sicurezza è parola di sinistra”. Come la declinerebbe oggi?
Sicurezza è una parola non di sinistra, “sinistrissima”. A patto che non la si connetta con l’idea dell’immigrazione. Questo connubio è una sciocchezza sesquipedale. Io sono uno di quelli, che anche in eterodossia con il mio partito, non trova niente di sbagliato allontanare dal territorio quei migranti che si macchiano di determinati tipi di reati, a seguito di regolare processo e magari di reiterate condanne. Questo sì. La sicurezza significa anche certezza di quello che succede sui territori. Non solo la rapina in banca. Certezza significa anche sapere esattamente cosa succede nel mio quartiere. Sapere quante persone ci sono, quali e quanti servizi posso offrire, quali sono le disponibilità economiche che ho per sostenere famiglie in difficoltà, per sostenere chi arriva sul mio territorio e devo dargli risposte di carattere abitativo. Sicurezza è tutto questo. Non è solo la rapina in banca o lo scippo. È essere certi che domani succederà qualcosa di positivo.
Questo è il grande tema di sinistra. Che la sicurezza è anche questo. Certo, è anche far sì che non vengano commessi dei reati. Ci mancherebbe altro. Il mondo si divide in persone perbene e delinquenti, non in immigrati e non immigrati. Si divide in persone corrette che rispettano le regole, che sono tra i migranti come tra gli italiani, e viceversa. Tra gli autoctoni ci sono dei banditi e persone ottime.
Non vorrei che la sicurezza si declinasse soltanto in termini repressivi. Sicurezza è anche cosa succede nel mio futuro, che opportunità posso dare ai miei figli, che opportunità posso avere se mi trovo in difficoltà. Per questo, se la declini bene, sicurezza è concetto di sinistra.
Spesso si dice che grandi temi come è quello delle migrazioni, debbano essere affrontati e trovare soluzione a livello europeo. Partendo anche dalla sua esperienza di sindaco, cosa si sente di chiedere all’Europa, anche in vista delle elezioni del prossimo anno?
Di essere Europa. Che non significa solo una più equa politica delle redistribuzioni. C’è questo ma anche tanto altro. È la capacità di fornire il sostegno adeguato, in termini di risorse finanziarie e operatori qualificati, a quei paesi, come l’Italia e la Grecia, che più di ogni altro stanno facendo questo sforzo. L’Europa faccia l’Europa in maniera strutturata e organizzata.
E al “nuovo PD”, cosa chiederebbe di più?
Chiedo ciò che chiedevo a quello vecchio: coraggio nell’affrontare un grande tema che so che non porta voti, né pacche sulle spalle, anzi rischia di scatenarti addosso ira e ostilità. Ascoltare i sindaci, il terzo settore, e costruire insieme una proposta vera, qualificante che abbia la forza di modificare in maniera sostanziale quello che succede.