Caro direttore, sempre stimolante Michele Prospero, a prescindere dagli aspetti più personali della sua polemica con Ernesto Galli Della Loggia. Poi la riflessione diventa ancora più coinvolgente per chi, come il sottoscritto, essendo socialista ovviamente ha una storia ben diversa da quella di tutti voi, di fronte all’articolo di Paolo Franchi che fra l’altro scrive una frase per me del tutto condivisibile: “I socialisti in parte scomparvero per proprie responsabilità, in parte furono fatti scomparire con le cattive”.
A mio avviso (su questo ho scritto un libro dal titolo La linea rossa) di comunismi in Italia ce ne sono stati comunque due, strettamente intrecciati l’uno all’altro, ma in certi momenti anche distinti. Ci fu un comunismo alleato con le altre forze politiche democratiche, laiche, socialiste e cattoliche che portò avanti la battaglia antifascista e antinazista nella Resistenza che in seguito a ciò ha collaborato alla scrittura della stesura per la Costituzione Repubblicana e che conseguentemente ha dato vita con gli altri al Sistema dei partiti che per lunghi anni ha caratterizzato la democrazia italiana.
C’è stato un comunismo staliniano legato a un patto di ferro all’Urss il cui massimo interprete è stato Palmiro Togliatti che ha condiviso tutti gli aspetti del regime totalitario che caratterizzava l’Urss, gulag compresi, la conquista del potere da parte dei locali partiti comunisti nei paesi dell’Est conquistati dall’Armata Rossa, la repressione in Ungheria. Poi, per carità, tutto ciò era sostenuto non da un tipo alla Maurice Thorez segretario del Pcf, ma da un personaggio che aveva letto e assimilato Gentile e Croce e adottava, tranne che per l’Urss il metodo dell’analisi differenziata.
Questo retroterra culturale, però, e questa capacità di analisi però non hanno impedito a Togliatti di sostenere che il sistema comunista era in tutto e per tutto superiore a quello capitalista e che la democrazia in Urss era più piena e completa di quella che c’era negli usa, nell’Europa occidentale e nella stessa Italia. Comunque, per la fortuna di tutti, dello stesso Togliatti (tant’è che egli rifiutò nel 1951 di tornare in Urss a fare il segretario del Cominform e preferì restare in Italia a svolgere il ruolo del capo rispettato dell’opposizione di sinistra) l’Italia fu liberata dagli eserciti angloamericani e quindi in essa c’è stato un regime liberal-democratico, certamente con mille contraddizioni e anche con illeciti interventi della Cia, di cui hanno potuto usufruire tutti, anche il Pci.
Forse proprio a questa condizione democratica si riferiva Berlinguer nella famosa intervista a Giampaolo Pansa nella quale sosteneva di sentirsi più sicuro se protetto dalla Nato. Sempre tenendo conto di tutto ciò, la parte politica e non ideologica del compromesso storico secondo la quale in Italia non andava perseguita una alternativa di sinistra al 51%, ma una unità nazionale molto più vasta, teneva conto di tutto ciò. Però qualcuno poteva pensare che caduto il Muro di Berlino, per implosione il comunismo in Urss e nei Paesi dell’Est, cambiato anche il nome del Pci, allora fosse possibile raccogliere la proposta dei miglioristi, nel senso che a quel punto l’approdo naturale del comunismo nella duttile versione Italiana fosse appunto la socialdemocrazia, l’unita fra il Pci e il Psi e da lì una alternativa riformista alla Dc.
Non avvenne nulla di tutto ciò perché i “ragazzi di Berlinguer” (con posizioni diverse tra Occhetto, D’Alema, Veltroni con la consulenza tecnico-politica di Luciano Violante) colsero al volo la scelta nuovista, antipolítica e antipartitocratica dei poteri forti (che esistono e che sono costituiti dai gruppi finanziari editoriali come dimostra la stessa storia del giornalismo italiano) i quali, finito il pericolo comunista, tolsero la delega proprio alla Dc e al Psi che erano anche diventati gli scomodi proprietari di fatto di quel sistema a partecipazioni statali che adesso “lorsignori” ritenevano che andasse privatizzato a prezzi stracciati. A quel punto scattò la connessione con la parte più aggressiva e ambiziosa della magistratura saldata ai media giornalistici e televisivi. Così quel Pds puntò non alla unità riformista con il Psi ma a sostituirsi ad esso nella nuova gestione del potere.
Dopo che dal 1945 alla fine degli anni Ottanta il finanziamento irregolare dei partiti era diventato di fatto parte della costituzione materiale della Repubblica, per cui le denunce clamorose di Ernesto Rossi e di don Sturzo, da tutti conosciuti (magistrati e direttori di giornali) e da tutti ignorati, all’improvviso divennero materia di una colossale operazione mediatico-giudiziaria che distrusse larga parte dei partiti esistenti (in primo luogo tutto il Psi, il centrodestra della Dc, i partiti laici) salvò solo il Pds e la sinistra Dc non perché essi fossero “innocenti” ma perché c’era bisogno di qualcuno, dotato di una sufficiente personalità che gestisse il sistema nel suo complesso. Come ha ricordato Paolo Franchi, i socialisti in parte non furono capaci di difendersi, in parte in vennero bombardati da tutti i lati, Craxi fu consegnato ad bestias, e di conseguenza qualsiasi ipotesi di partito socialista è stato distrutto per diverse generazioni.
Però non è che in seguito a tutto ciò il Pd è diventato l’erede politico ed elettorale della storia gloriosa di tutta la sinistra: privo dell’alleanza di un forte partito socialista, quando gli va bene il Pd è il pallido gestore il potere economico finanziario detenuto da lorsignori, ma non sempre però gli va bene. Infatti questa rottura per via giudiziaria del sistema politico italiano con la distruzione della Dc e del Psi ha dato, per reazione, un enorme spazio a molteplici versioni del centro destra, prima quella liberale, populista, moderata alla Berlusconi oggi a quella assai complessa e contraddittoria di Giorgia Meloni che è alla guida di una compagnia dalle molteplici sfaccettature fra cui quella molto negativa di Salvini e di una parte della stessa Fratelli d’Italia.
Quindi, al netto del duello fra Michele Prospero e Ernesto Galli della Loggia, le due opposte versioni di comunismo e di fascismo in Italia, non vanno prese in considerazione solo sulla base del delle loro originarie tavole dei valori (e anche su entrambe ci sarebbe molto da dire), ma anche rispetto al loro decorso storico reale che ha portato, per ciò che riguarda la sinistra italiana, alle conseguenze descritte in modo del tutto condivisibile da Paolo Franchi nella parte finale del suo articolo, non a caso sormontato dal titolo L’utopia.