Giusto 60 anni fa, il 28 agosto del 1963, nacque il sessantotto. A Washington. Il 68 è figlio dei neri d’America. La strada la aprì lui, Martin Luther King, pronunciando di fronte a una folla sterminata di afroamericani, ma anche di bianchi, uno dei più clamorosamente potenti discorsi rivoluzionari della storia contemporanea.
Non erano le parole incendiarie di un capopopolo: il suo era il ragionamento pacato, e pieno di idee e di sentimento, di un grandissimo intellettuale, che sapeva parlare al popolo ma anche ai potenti, che sapeva organizzare le lotte e che teneva fissa una idea di fondo: il domani. Avete presenti i leader politici di oggi? Nessuno di loro conosce la prospettiva. King metteva quella idea al centro di tutto: il futuro. Il sogno per lui non è l’utopia: è il destino. Morì a 43 anni, abbattuto da un cecchino razzista, cinque anni dopo il discorso di Washington.
Il ‘68, cioè la più possente spinta ideale e socialista che mai si sia espressa a livello mondiale, con l’energia e la forza di una intera generazione, è il figlio di quella intuizione di Luther King. Non furono i ragazzi bianchi tedeschi e italiani a mettere in moto la macchina: furono i neri. Il ‘68 lo puoi capire davvero solo se lo inquadri in questo contesto. È inventato, disegnato e messo in movimento dai neri d’America.
Non dal Black Panther e neanche da Malcom X, straordinarie avanguardie della lotta al razzismo, ma senza una strategia generale, senza una ideologia. King invece aveva una ideologia: la nonviolenza come contenuto e programma politico, non come metodo. Quel 28 agosto a Washington una folla gigantesca affermò un concetto essenziale: che i diritti civili e i diritti sociali devono essere tenuti insieme. Amici miei della sinistra, datemi retta: leggetelo quel discorso del reverendo King. C’è tutto.