I lunghi pensieri di Bergoglio
“Gay e trans vanno accolti, la Chiesa cambia”: le sberle di Papa Francesco alla destra
Non c’è dubbio che tutta la conversazione darà nuovo fiato a chi accusa Bergoglio di voler smantellare la dottrina tradizionale (qualunque cosa voglia dire).
Editoriali - di Fabrizio Mastrofini
La dottrina non è un monolite e c’è un continuo andare avanti perché la società sollecita la teologia e i sacerdoti; la Chiesa è aperta a tutti senza preclusioni; quanto a me – dice Papa Francesco – incontro spesso persone transessuali e con loro ho un dialogo aperto e rispettoso. Sono i passaggi più “forti” della conversazione del Papa con i gesuiti portoghesi, avvenuta durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona e pubblicata integralmente ieri da La Civiltà Cattolica.
Papa Francesco in ogni viaggio incontra i gesuiti del luogo e le conversazioni (talvolta molto lunghe) diventano un’occasione per conoscere più da vicino il suo pensiero. Questa volta poi il Papa parla chiaramente delle critiche che riceve da una parte notevole della chiesa statunitense. E va giù deciso: «C’è un’attitudine reazionaria molto forte, organizzata, che struttura un’appartenenza anche affettiva. A queste persone voglio ricordare che l’indietrismo è inutile, e bisogna capire che c’è una giusta evoluzione nella comprensione delle questioni di fede e di morale purché si seguano i tre criteri che indicava già Vincenzo di Lérins nel V secolo: che anche la dottrina progredisce, si consolida con il tempo, si dilata e si consolida e diviene più ferma, ma sempre progredendo».
L’esempio è presto fatto. «Oggi è peccato detenere bombe atomiche; la pena di morte è peccato, non si può praticare, e prima non era così; quanto alla schiavitù, alcuni Pontefici prima di me l’hanno tollerata, ma le cose oggi sono diverse. Quindi si cambia, si cambia, ma con questi criteri». Invece quando ti chiudi e “te ne vai all’indietro”, nota Bergoglio, «si perde la vera tradizione e ci si rivolge alle ideologie per avere supporto e sostegno di ogni genere. In altre parole, l’ideologia soppianta la fede, l’appartenenza a un settore della Chiesa rimpiazza l’appartenenza alla Chiesa». Considerazioni che il papa lega strettamente al ricordo del superiore generale Pedro Arrupe. E qui c’è un aspetto della rievocazione che andrà tenuto presente dagli storici della Compagnia di Gesù. Papa Francesco infatti inquadra gli anni del dopo Concilio (e di Arrupe) in un modo preciso, per spiegare quali siano i rischi che si corrono quando le mentalità si irrigidiscono.
Dice papa Francesco rivolgendosi ai gesuiti portoghesi e soprattutto al giovane confratello che gli aveva rivolto la domanda iniziale sugli Usa: “Arrupe (è stato superiore generale dal 1965 al 1983, ndr.) trovò una Compagnia che si era, per così dire, impantanata. Il superiore generale Ledóchowski (dal 1915 al 1942 capo dei gesuiti, ndr.) redasse l’Epitome. Voi giovani sapete che cos’è l’Epitome? Neanche per sogno, dell’Epitome non resta niente! Era una selezione delle Costituzioni e delle Regole, tutto mescolato. Ma Ledóchowski, che era molto ordinato, con la mentalità dell’epoca, disse: «Lo compilo affinché i gesuiti abbiano chiaro per filo e per segno tutto quello che devono fare». E il primo esemplare lo mandò a un abate benedettino di Roma, suo grande amico, che gli rispose con un bigliettino: «Lei con questo ha ammazzato la Compagnia». In altre parole, si formò la Compagnia dell’Epitome, la Compagnia che io ho vissuto nel noviziato, pure con grandi maestri, che erano di grande aiuto, ma taluni insegnavano certe cose che hanno fossilizzato la Compagnia. È quella la spiritualità che ricevette Arrupe, il quale ebbe il coraggio di metterla in movimento. Qualcosa gli sfuggì di mano, com’è inevitabile, come per esempio la questione dell’analisi marxista della realtà. Poi dovette mettersi a precisare alcune cose, ma lui è stato un uomo che ha saputo guardare in avanti. E con quali strumenti Arrupe ha affrontato la realtà? Con gli Esercizi spirituali. E nel 1969 fondò il Centro Ignaziano di Spiritualità“. Conclusione: «Quei gruppi americani così chiusi, si stanno isolando da soli. E anziché vivere di dottrina, della vera dottrina che sempre si sviluppa e dà frutto, vivono di ideologie. Ma quando nella vita abbandoni la dottrina per rimpiazzarla con un’ideologia, hai perso, hai perso come in guerra».
Poi la conversazione prosegue su altri temi. A chi si deve rivolgere la Chiesa? – chiede un altro gesuita. “A tutti” risponde il papa. E anche qui per non correre il rischio di equivoci, si dilunga, in riferimento al mondo omosessuale e transessuale. «A Roma conosco un sacerdote che lavora con ragazzi omosessuali. È evidente che oggi il tema dell’omosessualità è molto forte, e la sensibilità a questo proposito cambia a seconda delle circostanze storiche. Ma quello che a me non piace affatto, in generale, è che si guardi al cosiddetto «peccato della carne» con la lente d’ingrandimento, così come si è fatto per tanto tempo a proposito del sesto comandamento. Se sfruttavi gli operai, se mentivi o imbrogliavi, non contava, e invece erano rilevanti i peccati sotto la cintola».
Spiega ancora: «Per accompagnare spiritualmente e pastoralmente le persone ci vuole molta sensibilità e creatività. Ma tutti, tutti, tutti, sono chiamati a vivere nella Chiesa: non dimenticatelo mai». Una pausa e ancora di seguito una riflessione ed una confidenza del papa ai confratelli gesuiti, a proposito dei suoi contatti con persone transessuali, avviati grazie ad una suora che è impegnata nel settore. Così da qualche tempo all’udienza generale del mercoledì «vengono sempre gruppi di donne trans. La prima volta che sono venute, piangevano. Io chiedevo loro il perché. Una di queste donne mi ha detto: «Non pensavo che il Papa potesse ricevermi!». Poi, dopo la prima sorpresa, hanno preso l’abitudine di venire. Qualcuna mi scrive, e io le rispondo via mail. Tutti sono invitati! Mi sono reso conto che queste persone si sentono rifiutate, ed è davvero dura».
In tutta la conversazione, papa Francesco non dimentica di essere un uomo di fede e un gesuita. E così inserisce sempre dei riferimenti alla preghiera, alla spiritualità, al metodo di riflessione (Esercizi Spirituali) avviato da S. Ignazio di Loyola. E non si stanca di ripetere ai gesuiti che la preghiera è alla base di qualsiasi opera sociale e di apostolato. In questo senso torna su Arrupe ed al ruolo che ha avuto nel portare avanti la Compagnia di Gesù dopo il Concilio, affrontando l’incomprensione di Giovanni Paolo II. “In Thailandia si rivolse ai gesuiti che si occupavano di centri per rifugiati. Di che cosa parlò loro? Della preghiera. A quelle persone che erano impegnatissime nel lavoro con i rifugiati, parlò di preghiera. Nel viaggio di ritorno ebbe un ictus, quindi quello è stato il suo testamento. Con la preghiera il gesuita va avanti, non ha paura di nulla, perché sa che il Signore gli ispirerà a tempo debito ciò che deve fare. Quando un gesuita non prega, diventa un gesuita disseccato. In Portogallo si direbbe che è diventato «un baccalà»”.
Tutta la conversazione è poi condita da ricordi e aneddoti. Per mettere in guardia dal rischio di cercare la superficialità, la “mondanità”, le trappole del sesso virtuale, la smania di promuoversi e arrivare primi, il riferimento è alla nonna. “Mia nonna, che era una vecchia saggia, un giorno ci disse: «Nella vita bisogna progredire», comprare un terreno, i mattoni, la casa… Parole chiare, venivano dall’esperienza dell’emigrante, anche papà era un immigrato. «Ma non confondete il progredire», aggiungeva la nonna, «con l’arrampicarsi. Infatti, chi si arrampica sale, sale, sale e, invece di avere una casa, di mettere su un’impresa, di lavorare o farsi una posizione, quando è in alto l’unica cosa che mostra è il sedere». Questa è sapienza”. E non c’è dubbio che tutta la conversazione darà nuovo fiato a chi accusa Bergoglio di voler smantellare la dottrina tradizionale (qualunque cosa voglia dire).