Niente per accise e pensioni

La manovra è già un flop e Meloni trova l’alibi: colpa del Superbonus

Tagliare le misure varate dagli altri governi, per fare qualcosa di destra: è questa la strategia della premier. Che però non nasconde ai suoi l’amara verità: al netto del taglio del cuneo, per il welfare non ci sarà un euro

Politica - di David Romoli - 30 Agosto 2023

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La manovra è già un flop e Meloni trova l’alibi: colpa del Superbonus

Contrariamente a tutte le attese il cdm di lunedì scorso non ha parlato della legge di bilancio. A deciderlo è stata la premier: “Se iniziamo a parlarne ora diventa subito vertice di maggioranza”. Ad affrontare il tema è stata dunque solo lei, nel lungo discorso introduttivo che ha poi fatto diffondere alla stampa, con mossa decisamente poco consueta. Di fatto dunque la mossa d’inizio nella partita della manovra è stata solo il pronunciamento del capo del governo, pur se in totale sintonia con il ministro dell’Economia.

Se non proprio un diktat qualcosa di molto vicino. Il senso del discorso, la cui importanza è certificata dalla scelta di renderlo pubblico, è secco: la manovra sarà austera perché “bisogna restare con i piedi per terra”. Le “scarse risorse” devono essere usate non solo “con massima attenzione” ma anche seguendo una logica strettamente politica: i soldi vanno tolti alle misure con le quali si è politicamente in disaccordo e dirottati invece sulle priorità del governo.

Come esempio Meloni ha citato solo una delle misure cardine del governo Conte 2, il Superbonus già molto inviso a Draghi, definendolo “una tragedia contabile” e “la più grande truffa ai danni dello Stato”. In realtà, però, non aveva in mente i provvedimenti varati da quella che è oggi opposizione. Si rivolgeva ai ministri, ciascuno dei quali incalza con la sua lista di richieste, e soprattutto ai vicepremier nonché leader dei partiti alleati di FdI, Salvini e Tajani: non si facessero illusioni perché i pochi soldi a disposizione servono alla conferma del taglio del cuneo fiscale, ai sostegni per le famiglie, cioè la priorità politica, alle spese militari, anche se di quelle pudicamente si tace. Per tutto il resto ci saranno gli avanzi e “il resto” sono le pensioni, la sanità, la scuola, forse lo stesso contratto della Pa. Di calmiere sulle accise, poi, non se ne parla proprio.

Proprio le accise sono, o forse si dovrebbe già dire che erano, una delle richieste principali della Lega, insieme a un avvio di quota 41, per ora solo contributiva, e a un allargamento della Flat Tax per le partite Iva. Per Fi, invece, il cavallo di battaglia resta l’aumento delle pensioni minime da 600 a 700 euro. Entrambi i partiti, su tutto il resto conflittuali a dire poco, convergono invece sulla proposta di detassare le tredicesime e magari anche gli straordinari. I paletti fissati col massimo risalto possibile dalla premier non basteranno a far desistere gli alleati almeno da queste richieste.

Nella conferenza stampa al termine del cdm, senza la presidente, il ministro Giorgetti ha fatto capire che le dimensioni della manovra dipenderanno in parte importante dal quadro europeo, cioè dall’accordo sul nuovo Patto di stabilità, se sarà raggiunto entro l’anno e Giorgetti ci spera poco. In cosa riponga le sue speranze il ministro non lo dice, ma è probabile che siano esigue e confinanti col miracolo. È infatti molto improbabile che di qui al 27 settembre, quando verrà presentata la Nadef, si creino in Europa condizioni tali da permettere all’Italia di andare ulteriormente in deficit. Dunque le “scarse risorse” di cui parla la premier andranno trovate in altro modo.

Serviranno una trentina di mld. In cassa, ufficialmente, ce ne sono meno di 10. In questi casi, di solito, spunta sempre fuori un provvidenziale “tesoretto” ma l’eventualità di dover rivedere al ribasso la crescita di questo e del prossimo anno lo riduce drasticamente.  I proventi della tassa sugli extraprofitti, se non verranno ridimensionati come Forza Italia è decisa a fare, se andranno per coprire il rientro dello Stato in Tim. Giorgetti, per la prima volta, ha alluso alla possibilità di privatizzare qualcosa, come propone da settimane Fi. Non si tratterebbe di asset strategici né di un’operazione su vasta scala come quella di Prodi negli anni ‘90, ma di interventi mirati per fare cassa: nel mirino potrebbero finire una parte delle quote di Mps e Lufthansa.

Il taglio delle indicizzazioni sulle pensioni non ha neppure bisogno di essere deciso: il governo ci ha già pensato con la finanziaria dell’anno scorso, salvo naturalmente la possibilità di aumentare ulteriormente la quota deindicizzata. La riforma fiscale, negli auspici del viceministro dell’Economia Leo, potrebbe portare qualcosa ma al momento l’eventuale introito è molto vago e anche la carta del taglio delle detrazioni è impervia. Il contratto della Pa, una delle principali voci d’uscita del prossimo anno, è pericolante.

Nel complesso la manovra austera numero 2 del governo Meloni si preannuncia per come la ha definita la premier stessa: una finanziaria nella quale i tagli e le destinazioni dei fondi delineano una strategia politica. Nella quale per faccende come sanità o pensioni, scuola o aiuti contro il carovita c’è pochissimo posto. Una visione compiutamente di destra senza nulla di sociale.

30 Agosto 2023

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