La “Writing Solidarity"
Perché rileggere Borges: le sue visioni profetiche per sopravvivere all’intelligenza artificiale
In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale si estende tra le ossa della quotidianità, le visioni borgesiane possono risplendere con una luce nuova, sinistra e necessaria.
Cultura - di Andrea Colamedici
Questo è l’azzardo: agire come se, nel tessuto letterario di Jorge Luis Borges e in particolare nella raccolta di racconti Finzioni, labirinti intricati, specchi riflettenti e biblioteche senza fine non siano metafore poetiche ma vere e proprie visioni profetiche del nostro tempo, capaci di offrire riflessioni puntuali e tremende sullo stato della conoscenza umana nell’anno 1 d.C, ossia dopo ChatGPT.
In un’epoca, la nostra, in cui l’intelligenza artificiale si estende tra le ossa della quotidianità, le visioni borgesiane possono risplendere con una luce nuova, sinistra e necessaria. Con questo sguardo, il racconto d’apertura della raccolta, Tlön, Uqbar, Orbis Tertius si manifesta come la narrazione di ciò che intorno a noi ha cominciato ad avvenire, ossia la graduale ma inesorabile sostituzione del reale con l’artificiale. Nel racconto Borges accidentalmente scopre Tlön, un paese completamente inventato che gradualmente soppianta il mondo “vero”. È caratterizzato da un sistema filosofico radicale e una lingua con una struttura unica che ricorda molto da vicino i grandi modelli linguistici attuali, in cui le frasi vengono divise in tasselli fatti di parole o sillabe, i cosiddetti token.
E così come il linguaggio delle AI è il frutto di un calcolo del tassello successivo più probabile, nell’emisfero boreale di Tlön «la cellula primordiale non è il verbo, ma l’aggettivo monosillabico. Il sostantivo si forma per accumulazione di aggettivi», e «nessuno crede alla realtà dei sostantivi», che sono meramente metaforici. La natura effimera e disordinata della nostra esistenza, tra virus, cambiamenti climatici e guerre è oggi più palese che mai, malgrado gli sforzi collettivi di dissimulazione. «Come, allora, non sottomettersi a Tlön, alla vasta e minuziosa evidenza di un pianeta ordinato?» Come non mettere indiscriminatamente le proprie vite nelle mani di intelligenze superiori, ordinate e precise? «Inutile rispondere che anche la realtà è ordinata. Sarà magari ordinata, ma secondo leggi divine – traduco: inumane – che non finiamo mai di scoprire. Tlön sarà un labirinto, ma è un labirinto ordito dagli uomini, destinato a essere decifrato dagli uomini».
Un labirinto confortante, un metaverso rigoroso in cui trasferirsi per sfuggire all’incertezza e all’inquietudine (che, spoiler, finiranno col seguirci anche lì). «Incantata dal suo rigore, l’umanità dimentica che si tratta d’un rigore di scacchisti, non di angeli», e disimpara a riconoscere la differenza tra lo sterminato e l’infinito, tra l’oracolo di Google e quello di Delfi: entrambi vaticinano dopo aver fatto accesso a un sapere enorme e invisibile. Con l’avvento di entità come ChatGPT, Synthesia, Runway, Midjourney, che tessono narrazioni e visioni tanto fluide da confondere il confine tra mano umana e non umana, siamo costretti a domandarci non solo chi siamo, ma perché e come siamo. I millenni trascorsi ad affinare tecniche di distrazione da queste domande si rivelano oggi inutili: l’intelligenza artificiale generativa ci costringe a riflettere su cosa siano oggi l’arte, la creatività, la bellezza, e quale sia il senso dell’essere umano.
Questa è, a guardarla bene, una grande occasione: fronteggiare la nostra inutilità e discernere quanto e dove usare queste intelligenze. Cosa significhi “scrivere” e “creare” in un mondo in cui la macchina può emulare e superare la mano e la mente del medico, del copywriter, del grafico, in un oceano cognitivo sempre più vasto dove verità e finzione si mescolano incessantemente. Se il nostro rigore di riferimento sarà quello degli scacchisti, la nostra vita apparirà più insensata che mai. Non potremo che perdere incessantemente, come Lee Sedol contro AlphaGo o Kasparov contro Deep Blue, e il nostro ruolo esistenziale sarà soltanto quello di potenziare il nostro Avversario.
Ma se riusciremo a riscoprire il rigore degli Angeli, potremo usare le intelligenze artificiali non come sostituti del reale, ma come ponti per l’altrove da attraversare. Come scrisse Simone Weil sul lascito della grecità: «I ponti dei Greci. Li abbiamo ereditati. Ma non ne conosciamo l’uso. Abbiamo creduto che fossero fatti per costruirci case. Vi abbiamo elevato grattacieli ai quali aggiungiamo continuamente piani. Non sappiamo che sono ponti, cose fatte per passarci». Non rifacciamo lo stesso errore.
*Filosofo e fondatore del progetto Tlon