Presidente dell'Iai

“Per Biden la guerra in Ucraina è un impiccio, Zelensky vago sulla Crimea”, intervista a Ferdinando Nelli Feroci

«L’apertura del presidente ucraino non è sufficiente per avviare un dialogo: non ha accennato alla questione di chi manterrebbe la sovranità sulla Crimea ma di smilitarizzazione del territorio».

Interviste - di Umberto De Giovannangeli - 1 Settembre 2023

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“Per Biden la guerra in Ucraina è un impiccio, Zelensky vago sulla Crimea”, intervista a Ferdinando Nelli Feroci

La torsione “trattativista” di Zelensky, la sfida dei Brics, i balbettii europei e i pensieri di Biden. L’Unità ne discute con l’Ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai). Diplomatico di carriera dal 1972 al 2013, è stato Rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione Europea a Bruxelles (2008-2013), capo di gabinetto (2006-2008) e direttore generale per l’integrazione europea (2004-2006) presso il Ministero degli Esteri. L’ambasciatore Nelli Feroci ha anche ricoperto l’incarico di Commissario europeo per l’industria e l’imprenditoria nella Commissione Barroso II nel 2014. Insomma, una autorità nel campo delle relazioni internazionali.

Ambasciatore Nelli Feroci, come leggere l’apertura del presidente ucraina a una trattativa sulla Crimea?
Vi sono varie possibili interpretazione. Una, è che ci siano state pressioni da parte degli alleati più importanti dell’Ucraina, penso soprattutto a Washington e magari anche Londra, perché Zelensky dimostrasse una qualche apertura al dialogo. L’altra è che sia lui, autonomamente, ad ver preso atto con realismo che la Crimea in quanto tale non è realisticamente recuperabile. La linea ufficiale per cui la Crimea è Ucraina e deve tornare pienamente sotto il controllo e la sovranità dell’Ucraina è difficilmente praticabile. Però aggiungo che se uno legge attentamente quello che Zelensky ha detto, quello che ha affermato è ugualmente poco praticabile.

Vale a dire?
Lui ha detto quando noi arriveremo con le nostre truppe a recuperare tutti i territori attualmente occupati dai russi, fino ai confini amministrativi della Crimea, il che vuol dire recuperare buona parte del Donbas, Zaporizhzhia, Kherson, allora a quel punto potremmo discutere di una soluzione che comporti la smilitarizzazione della Crimea. Non ha accennato alla questione di chi manterrebbe la sovranità sulla Crimea. È un’apertura, sicuramente, rispetto ad una linea ufficiale che finora era quella che la Crimea andava recuperata insieme al Donbas. È un’evoluzione ma con molte condizioni di difficile praticabilità. Aggiungo che in quello stesso contesto, Zelensky ha fatto un accenno ad un’altra questione delicata, su cui è verosimile che ci siano state pressioni americane, cioè l’ipotesi che si possa far cessare lo stato di emergenza nel 2024 e quindi che di conseguenza che si possa procedere alle elezioni. Tutto questo in un contesto in cui queste dichiarazioni non hanno e non potevano avere un impatto operativo, perché per la Russia questa è una condizione impraticabile – Mosca considera territori della Federazione Russa non solo la Crimea ma tutti i territori ucraini occupati – e non credo che possa ritenere quella ipotizzata da Zelensky un’apertura sufficiente per avviare un dialogo.

C’è chi sostiene che Joe Biden non vorrebbe trovarsi impelagato nella guerra in campagna presidenziale.
È assolutamente plausibile e verosimile. Va detto anche che quando si entrerà nel vivo della campagna elettorale, il tema della guerra in Ucraina non sarà centrale nel dibattito, però sicuramente c’è da aspettarsi che il candidato repubblicano, soprattutto se dovesse essere Trump, come sembra alquanto probabile, userà questo tema per proporre una qualche forma di cessazione delle ostilità. D’altro canto, Trump lo ha ribadito a più riprese, se fossi io il Presidente avrei risolto il problema in ventiquattr’ore. Trump non fa molte anticipazioni sul programma di presidenza, è concentrato su altre questioni, ma a suo tempo aveva fatto questa affermazione. Sappiamo benissimo che il suo cuore batte dalla parte di Putin e sappiamo altrettanto bene che da larghi settori del Partito repubblicano ci sono state forti resistenze soprattutto sugli aiuti militari all’Ucraina. Diciamo che per Biden il prolungamento della guerra non è una carta elettoralmente attrattiva.

E l’Europa?
Noi abbiamo seguito gli Stati Uniti su una linea che era quella della condanna della Russia, dell’assistenza all’Ucraina con tutti i mezzi possibili, senza un coinvolgimento diretto nel conflitto. Lo facciamo con un diverso grado d’impegno tra i paesi Ue, ma tutto sommato su questa linea l’Europa è rimasta sostanzialmente compatta, fatto non scontato visto che in passato era stato molto problematico tenere una linea unitaria nei confronti della Russia. Di fronte a una violazione così clamorosa dei principi fondamentali di convivenza tra stati, probabilmente non c’erano alternative. Non è stata molto attiva l’Europa, forse qualche leader europeo un po’ di più, nella ricerca di una soluzione politico-diplomatica del conflitto. Avrebbe potuto assumere un po’ più di protagonismo. È vero anche che non facile immaginare una soluzione di questo tipo perché le posizioni delle parti sono talmente distanti che oggi come oggi è difficile immaginare che esistano le condizioni negoziali. C’è anche da aggiungere che dietro questa unità ci sono sensibilità diverse tra paesi membri. C’è un fronte dei paesi dell’Europa centro-orientale che ha una linea molto intransigente nei confronti della Russia, il che rende molto problematica l’ipotesi di iniziative politico-diplomatiche dell’Unione. Non dobbiamo farci illusioni. Sono differenze di sensibilità e interessi che potrebbero emergere soprattutto se qualcosa cambiasse a Washington.

Da Washington a Mosca. La butto giù seccamente. L’eliminazione di Prigozhin rafforza o meno Putin?
Nel breve tempo temo che la rafforzi. Dico temo perché Putin è un personaggio che non si è mai fatto scrupoli di eliminare fisicamente i propri oppositori, uccidendoli, molto semplicemente. A lungo termine, è difficile dirlo. Questa vicenda si potrebbe concludere positivamente per Putin se lui effettivamente riuscisse a recuperare una catena di controllo e di comando su quelli della Wagner. Che sono comunque essenziali per la politica estera russa. Sono essenziali in Ucraina, ma lo sono ancora di più nei vari teatri di operazioni dove i miliziani della Wagner sono impegnati, Africa, Libia, Medio Oriente. Oggi per Putin la partita principale è quella di affermare una propria capacità di controllo e di comando su quei mercenari della Wagner che decideranno di continuare a fare quel mestiere. Riorganizzare la Wagner in modo da poterla rendere funzionale agli interessi della Russia. Questa nel breve periodo è la sfida principale. Probabilmente ci riesce, perché non esistono significative opposizioni in Russia, e quei pochi che ci provano fanno la fine di Prigozhin.

Questa panoramica internazionale, sul fronte della guerra e non solo, non può non coinvolgere la Cina.
La Cina sta sfruttando le rendite di posizione di questo conflitto. All’inizio si poteva pensare che il conflitto avrebbe avuto effetti molto più destabilizzanti sulle cose che interessano la Cina, cioè l’economia, il commercio internazionale, gli scambi, le catene del valore. Poi abbiamo potuto constatare che nonostante tutto il mondo funziona lo stesso, malgrado le sanzioni, malgrado il tentativo di isolare la Russia. La Cina, a questo punto, ha tutto l’interesse a mantenere questa posizione di fiancheggiamento, ambiguo ma pur sempre fiancheggiamento, di sostegno alla Russia, senza esporsi troppo in prima persona, con l’obiettivo di coagulare attorno a questa linea un consenso più ampio, vedi la vicenda dei Brics, per mettersi alla testa di una grande coalizione di paesi che si riconoscono in una qualche forma di antagonismo nei confronti dell’Occidente. In questo momento, a mio avviso, la Cina non ha interesse a prendere distanze da Putin, né interesse ad assumere iniziative politico-diplomatiche per la cessazione del conflitto, al di là di quel piano in 12 punti che conteneva anche delle cose condivisibili ma che non era possibile tradurle in iniziative operative. Rimarrà verosimilmente alla finestra, manifestando solidarietà politica di principio nei confronti di Putin, senza metterlo troppo in difficoltà, sapendo che attorno a questa linea Pechino potrà coagulare una coalizione vasta, anche se molto eterogenea, di paesi che sono uniti da un sentimento anti occidentale.

I Brics, come leggere il loro allargamento?
È uno sviluppo che si presta a due possibili interpretazioni. Una, è che il formarsi di una coalizione di questo tipo suscita interesse. Sono molti i candidati, alcuni sono già stati ammessi, altri sono ancora in sala d’attesa. Evidentemente sul tema della contrapposizione all’Occidente si riscuotono consensi e adesioni. Però poi da qui a trasformare questo gruppo allargato di paesi in una coalizione in grado di sviluppare politiche e strategie comuni, la cosa si fa più complicata.

Perché?
Sono paesi molto diversi tra loro, alcune sono democrazie funzionanti che tengono molto al fatto di essere tali, e ci sono regimi autocratici. A ciò va aggiunto che ci sono rivalità molto profondi tra alcuni di loro, il più clamoroso è il rapporto controverso tra Cina e India, come quello tutt’ora irrisolo tra Arabia Saudita e Iran, malgrado tentativi in atto di normalizzazione. Bisogna seguire con molta attenzione questa evoluzione dell’allargamento dei Brics, ma anche con la prudenza che deriva dalla considerazione che sono paesi molto diversi tra loro. E da una constatazione molto più terra terra: quanto più aumenti il numero dei membri, tanto più aumenti l’eterogeneità della compagine. Questo l’abbiamo visto anche in Europa e questa chiave di lettura potrebbe applicarsi anche per i Brics.

Gli effetti della guerra in Ucraina potrebbero estendersi anche in aree nevralgiche per l’Italia come il Mediterraneo e l’Africa?
Era già in atto da tempo un processo di presenza sempre più intrusiva di Russia e Cina in Africa e nel Mediterraneo. Lo vediamo quotidianamente dalle cronache di quello che sta succedendo in Africa, in particolare nel Sahel. Lo vediamo nel Mediterraneo, con gli avamposti russi in Siria e in Libia. È un fenomeno che si stava già sviluppando. Non riesco in questo momento ad immaginare un impatto diretto tra il conflitto in Ucraina e l’espansione della Russia o della Cina in queste regioni. Semmai sarei portato a ritenere che l’investimento di risorse finanziarie, uomini, mezzi, armamenti in Ucraina, abbia in qualche modo costretto la Russia a ridimensionare il suo attivismo in altre zone del mondo. Sono ipotesi. Il dato di fatto è che Russia e Cina sono già presenti in Africa e nel Mediterraneo. E sono presenze che impattano sui nostri interessi vitali, di sicurezza, di stabilità e di tutto quello che ne deriva.

1 Settembre 2023

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