L'ex segretario della Cgil
“Sul lavoro tante parole tranne una: sicurezza”: intervista a Sergio Cofferati
L’ex leader della Cgil: “Nei servizi e nelle produzioni nuove meno attenzione che in fabbrica. Inaccettabile mettere a rischio la vita delle persone. Serve un salto di qualità”
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
È stato il leader della più grande organizzazione sindacale. Una vita nel sindacato, nella Cgil, della quale è stato segretario generale dal giugno 1994 al settembre 2002. Sui morti sul lavoro la parola a Sergio Cofferati.
Una strage continua. Con il numero dei morti che si aggiorna continuamente nella macabra contabilità ufficiale delle vittime del lavoro. L’incidente ferroviario di Torino, costato la vita cinque addetti alla manutenzione ferroviaria alla stazione di Brandizzo, è l’ultimo caso, in ordine cronologico, che va ad aggiornare un bilancio terrificante.
Intanto questo fenomeno delle morti e degli infortuni sul lavoro, perché non ci sono solo le morti ma anche infortuni che durano per l’intera vita, è un fenomeno terribile, che sta aumentando da tempo. Io credo che ci sia un problema che deve essere affrontato con determinazione, diversamente la situazione non cambierà.
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A quale problema si riferisce?
Il vincolo e l’obbligo a far sì che il prodotto e l’organizzazione del servizio o dell’organizzazione della vita sociale, abbiano sempre il contenuto della sicurezza. Non si può e non si deve prescindere da questo. Non si fa il prodotto bello che non è sicuro. Non lo si fa senza la sicurezza nel produrlo. Non lo si fa senza la sicurezza nell’utilizzarlo. Quello che stiamo commentando, e colgo l’opportunità offertami da l’Unità per porgere le mie condoglianze ai famigliari delle vittime, rende evidente l’indispensabilità di questo salto di qualità e di attenzione nella vita e nelle relazioni in ogni ambito e in ogni attività lavorativa e della vita sociale ed economica. Anche gli incentivi che sono stati introdotti dopo la pandemia, non sono sempre stati, purtroppo, accompagnati dalle necessarie norme sulla sicurezza. Ci sono lavori produttivi che sono privi della sicurezza necessaria e poi anche tantissimi servizi. I servizi sono cresciuti. Paradossalmente il lavoro nella fabbrica è un lavoro che nel corso del tempo, anche per iniziativa di chi nella fabbrica lavora e produce, ha visto crescere l’attenzione. Così non è nei servizi e nelle produzioni nuove. Il tema della sicurezza non ha, né culturalmente né materialmente, l’attenzione necessaria.
Come dovrebbe essere affrontato il problema della sicurezza sul lavoro?
Con un incentivo a favore della sicurezza mentre crei il prodotto o il modo di produrre, che sia una cosa materiale o un servizio, non fa differenza. E deve essere accompagnato da sanzioni molto aspre dove la salute delle persone o addirittura la loro vita vengono messe a rischio, o comunque non sufficientemente tutelate, perché non c’è stato il dovuto lavoro di prevenzione. Queste due cose vanno fatte insieme. L’incentivo a far meglio e la punizione a chi non lo fa.
“A sedici anni di distanza siamo di fronte a una nuova Thyssen. Quello che è successo alla stazione di Brandizzo è inconcepibile, soprattutto a Torino e in Piemonte”. A sostenerlo è Giorgio Airaudo, segretario generale Cgil Piemonte.
E’ un’affermazione che risponde ad uno stato d’animo che si crea di fronte a un evento terribile come questo. L’espandersi della mancata sicurezza nei servizi è peggio di quello che è stata la mancanza di sicurezza nel produrre. Aggravato dal fatto che i servizi nella nostra vita quotidiana sono aumentati.
Questa mancanza di sicurezza sul lavoro non è parte integrante di quella precarietà che si manifesta in mille forme oggi?
Assolutamente. E uno dei molteplici aspetti della precarietà. Per fare presto spendendo poco si mette in discussione la vita delle persone, e questo è inaccettabile. Inaccettabile dal punto di vista materiale e culturale.
Nella sua lunga vita sindacale, lei ha avuto modo di parlare con i famigliari e i compagni di lotta e di lavori di lavoratrici e lavoratori morti sul lavoro. Cosa le ha lasciato anche sul piano personale questa esperienza?
Quando è capitato sono stati momenti terribili. Terribili sul piano umano e poi pesanti su quello culturale. Di fronte ad un disastro in un’azienda o in un cantiere, in una fabbrica o in qualunque servizio, quello che ti balza subito agli occhi è che, se è capitato, è perché non era stato fatto per tempo quello che serviva. Per la mancanza di attenzione, da parte di molti soggetti, necessaria nel produrre il lavoro o il servizio. E questa responsabilità chiama in causa anche il sindacato. Non sempre, per cento ragioni tutte negative, veniva fatto.
Il modo migliore per ricordare le vittime di questa ennesima, immane tragedia, è fare quanto necessario per evitare il ripetersi di fatti drammatici, incredibili come quello da cui siamo partiti. Si dovrà tornare, alla ripresa autunnale, a parlare di lavoro, stando a quello che si è detto in continuazione in queste settimane. Nel parlare di lavoro, qualunque sia l’approccio che si usa, il valore del lavoro, il carattere del lavoro, i contenuti del lavoro, ci dovrebbe stare sempre il tema sicurezza. Sempre.