Non date retta: “il lavoro è dignità, il lavoro è serenità, il lavoro è la soluzione contro la povertà, il lavoro cementa la società”. Non date retta: non è vero. E quando usano l’articolo 1 della Costituzione per esaltare la gioia del lavoro vi stanno fregando. È pura retorica. Il lavoro non è gioia, non è serenità, il lavoro è fatica, sudore, sacrificio, talvolta il lavoro abbrutisce, il lavoro può anche essere povertà. Il lavoro spesso è malattia, ferite, mutilazioni, morte.
I dati dell’Inail sono parziali. E parlano di 600-700 mila incidenti sul lavoro al giorno, con morti e feriti. In realtà sono molti di più, perché di questo conteggio fanno parte solo i lavoratori regolari, assicurati con l’Inail. Poi ci sono altrettanti incidenti, e morti, che non vengono contati. Gli incidenti sono almeno un milione e mezzo. I morti forse 1500. State sicuri che tra i morti e i feriti difficilmente ci sono i manager, gli ingegneri, i notai. A loro succede raramente. Per una ragione molto semplice: non esiste “il” lavoro, esistono “i” lavori.
Mi sapete dire voi che cosa ha in comune il lavoro di un alto dirigente di una fabbrica meccanica, che vive in ufficio, o in aereo, o in albergo, o al ristorante stellato, e guadagna due o tre milioni di euro all’anno, e un operaio della sua stessa fabbrica, che sta al chiodo, che attacca la mattina alle sei, e che per guadagnare due o tre milioni ci mette all’incirca 150 o 200 anni? Speriamo che si salvino tutti e due, ma se venite a sapere che uno dei due ha avuto un incidente sul lavoro potete scommettere che è toccato all’operaio.
Quando diciamo lavoro, posto di lavoro, occupazione, di solito non immaginiamo il lavoro dei manager, né degli imprenditori grandi e medi, né dei proprietari terrieri, giusto? Parliamo degli operai, dei contadini che ancora esistono, dei rider, dei precari, dei muratori, dei camerieri, dei vigili urbani, degli autisti dell’autobus, dei lavoratori delle ferrovie, o dei piccoli autonomi, gli idraulici, i falegnami. Quanti sono in tutto? Alcuni milioni. 10, 15, 20 milioni. Più o meno uno su dieci, tra loro, l’anno prossimo subirà un incidente. E quasi tutti lo subiranno, grave o lieve, nei prossimi anni, prima della pensione.
Cosa producono questi lavoratori? La gran parte della ricchezza nazionale. E quanto, di questa ricchezza che producono, resta nelle loro tasche? Forse un decimo forse un quinto. Il resto va allo Stato, va a coprire l’evasione fiscale dei ricchi, o va agli imprenditori che usano e rivendono il prodotto che i lavoratori hanno realizzato. Questo 90, o 80 o 70 per cento, il vecchio Carlo Marx lo chiamava plusvalore. Vuol dire che il lavoratore produce per dieci e tiene per sé una piccola parte. Nel dizionario italiano tutto questo è riassunto con la parola “sfruttamento”. Ho sentito dire che molti ritengono che sotto il salario minimo c’è lo sfruttamento. Sotto i 9 euro l’ora.
Non è così: lo sfruttamento c’è sempre sul lavoro, sotto il salario minimo è super-sfruttamento. L’Italia è il paese europeo dove la parte del Pil costituita da stipendi e salari è la più bassa di tutte. Non solo dietro alla Francia e alla Germania, anni luce dietro la Francia e la Germania, ma dietro la Spagna, la Grecia e la media dei paesi europei. Avete sentito la retorica contro il reddito di cittadinanza? Dicono: “vorrebbero campare sul divano. Rifiutano la dignità del lavoro…”.
No, amici, sul divano ci campano alcune centinaia di migliaia di redditieri, di speculatori, di finanzieri, quelli del reddito non rifiutano la dignità, semplicemente pagano la disoccupazione o rifiutano l’indegnità di lavorare per sei euro o cinque all’ora. Il lavoro – abbiamo titolato ieri su queto giornale – è sfruttamento, è morte. Il Presidente Mattarella ha detto belle parole sull’incompatibilità tra morte sul lavoro e civiltà. Purtroppo Mattarella sbaglia: non solo non c’è incompatibilità, c’è interdipendenza. Noi viviamo in un sistema economico per il quale l’insicurezza e l’incidente sul lavoro sono il carburante. Fanno rifornimento di morti tre volte al giorno. Senza quel carburante si fermano.