La proposta del ministro
Scioglimento e commissariamento degli enti locali per mafia, le ‘amnesie’ di Piantedosi
La proposta: non sciogliere i comuni se il tentativo di infiltrazione riguarda solo la burocrazia dell’ente
News - di Pasquale Simari
Come reso noto da Palazzo Chigi, il Governo ha avviato l’esame del disegno di legge delega per la revisione della normativa sull’ordinamento degli Enti locali proposto dal Ministro dell’Interno Piantedosi. Stando alla bozza diffusa dai media, il restyling interesserà anche la “disciplina in materia di controllo sugli organi degli enti locali conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso o similare”.
Il fatto che lo schema di delega preveda solo modifiche marginali alle norme in vigore rende chiaro come, per il Viminale, il sistema tutto sommato funzioni e non necessiti di particolari stravolgimenti. Ma le cose stanno davvero così? Vediamo cosa, a nostro avviso, avrebbe dovuto esserci nel disegno di legge e invece manca. Innanzi tutto, nella proposta di Piantedosi non viene neanche sfiorato il tema dell’evanescenza dei presupposti per il commissariamento per mafia di un ente locale. Eppure sono tante e autorevoli le voci che si chiedono se sia conforme alla Costituzione e possa essere ancora mantenuto in piedi un istituto che, grazie anche a evidenti forzature interpretative, consente all’esecutivo di rimuovere un’amministrazione democraticamente eletta ogniqualvolta ravvisi, sulla base di elementi indiziari, il “più probabile che non” pericolo di infiltrazione o condizionamento da parte della criminalità organizzata.
E ciò con l’avallo del Consiglio di Stato, arrivato a sostenere che “l’accertata e notoria diffusione nel territorio della criminalità organizzata e le precarie condizioni di funzionalità dell’ente si configurano come condizioni necessarie e sufficienti per disporre lo scioglimento del Consiglio Comunale”. Nel disegno di legge non è affrontata nemmeno la questione dell’eccessiva rigidità della disciplina vigente, che azzera per 18 mesi (sistematicamente prorogati a 24) tutti gli organi elettivi anche nel caso in cui i (probabili) tentativi di infiltrazione o di condizionamento non coinvolgono la parte politica ma solo i dipendenti dell’ente o, addirittura, i vertici o il personale delle società partecipate. Parimenti, nella delega non vi sono disposizioni in grado di rimediare alla scarsa efficacia delle gestioni commissariali che, troppo spesso, sono state incapaci di instaurare un rapporto fiduciario con i cittadini e di rimuovere le inefficienze amministrative che avevano concorso allo scioglimento.
Tanto è vero che sono molti i comuni sciolti per due o più volte. Infine, nella bozza di ddl non è presa in alcuna considerazione la vexata quaestio dei diritti degli amministratori degli enti commissariati per mafia, ai quali non sono garantiti né il contraddittorio nella fase ispettiva, né la pienezza dei diritti difensivi in sede giurisdizionale. Per evitare che le reali esigenze di riforma vengano svilite e l’intervento del legislatore si riduca al mero recepimento dei desiderata della burocrazia ministeriale, è dunque necessario che il Parlamento, se e quando prenderà in esame il provvedimento, eserciti in pieno le proprie prerogative, facendo tesoro anche delle esperienze maturate nella scorsa legislatura.
In particolare, sarebbe esiziale disperdere il proficuo lavoro svolto dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera, che il 30 maggio 2022 ha predisposto un testo organico di riforma della disciplina sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali. Mentre le direttive contenute nello schema di delega presentato dal Ministro dell’Interno prefigurano un semplice maquillage del sistema, il testo licenziato dalla Commissione parlamentare, sebbene non ne elimini tutte le contraddizioni e le incongruenze, ha il pregio di mirare alla risoluzione di molte delle problematiche sopra evidenziate. E in effetti, uno dei cardini della proposta è rappresentato dall’esclusione della possibilità di sciogliere gli organi elettivi nel caso in cui il tentativo di infiltrazione e condizionamento riguardi solo la burocrazia dell’ente.
In tale ipotesi, il governo limiterebbe il proprio intervento all’attribuzione di poteri straordinari di gestione al Segretario o al Direttore Generale ovvero, in caso di coinvolgimento di questi ultimi, a un Commissario esterno. Altre modifche di grande impatto sono rappresentate dalla più chiara definizione dei presupposti per lo scioglimento, dalla previsione del contraddittorio tra gli amministratori e la commissione di accesso, dalla riduzione della durata del commissariamento, dall’introduzione dell’obbligo di esclusività e di presenza per i membri della commissione straordinaria, dall’istituzione di un organo di rappresentanza dei cittadini e del mondo dell’associazionismo a supporto della commissione e di un albo ministeriale da cui attingere per le nomine dei commissari. Insomma, un pacchetto di aggiustamenti che, seppur non risolutivo di tutte le criticità, renderebbe l’istituto meno inefficiente e iniquo. Speriamo di non doverci rammaricare per l’ennesima occasione sprecata.