Il dietrofront
Strage di Ustica: cosa ha detto Amato e come è precipitato il DC-9 dell’Itavia
Dopo il chiasso fatto con le dichiarazioni sul missile che avrebbe colpito il Dc-9, ora precisa che lui non sa niente di più di quanto sapesse decenni fa
Cronaca - di Iuri Maria Prado
L’ipotesi che Giuliano Amato, nel rilasciare l’intervista dell’altro giorno a Repubblica, disponesse di informazioni nuove e ulteriori sul disastro di Ustica e, in particolare, sulla presunta “guerra aerea” intorno al DC-9 precipitato nonché sul missile che lo avrebbe colpito, era l’unica che avrebbe potuto spiegare per quale motivo mai neppure una delle sue certezze odierne fosse presente tra le verità su cui aveva giurato nel 2001, in faccia al giudice cui rendeva testimonianza.
Ma ora Giuliano Amato spiega che no: né sul missile sganciato da un aereo francese partito da una portaerei o da una base in Corsica, né sulla battaglia aerea, né sui pretesi depistaggi che avrebbero impedito di accertare queste verità, lui sa nulla più di quanto sapesse decenni fa. E cioè quando, chissà perché, riteneva appunto di non sottoporre alla cognizione dei magistrati le informazioni e le valutazioni di cui va certo oggi e di cui – come oggi ci dice – disponeva anche allora. Ha ragione Giuliano Amato quando si assolve dai titoloni impressionistici – certamente a lui non addebitabili – con cui la stampa ha presentato le sue dichiarazioni: “Dei titoli con cui un articolo o un’intervista vengono presentati”, ha detto ieri, “non risponde l’autore”.
Vero: ma Amato deve rispondere di ciò che ha detto chiaramente, quanto infondatamente, a proposito delle relazioni tecniche da cui avrebbe tratto le sue convinzioni, relazioni tecniche che – secondo quanto Amato ha riferito nell’intervista dell’altro giorno – avrebbero “escluso fin dal primo momento l’ipotesi di una bomba esplosa all’interno” del DC-9 Itavia. Se il riferimento era ad accertamenti ufficiali, infatti, provvisti di riscontro giurisdizionale, allora si tratta di pura e semplice falsità giacché gli accertamenti sono stati semmai di segno contrario; se invece il riferimento era a tesi di parte disseminate nei tanti procedimenti, allora la dichiarazione di Amato è a dir poco fuorviante perché lascia intendere, contro il vero, che l’ipotesi della bomba a bordo dell’aereo fosse stata esclusa “fin dal primo momento” non già in base a un’opinabile ricostruzione partigiana bensì alla luce di risultanze inoppugnabili e certificate.
E attenzione: Amato non dice di essersi fatto una sua idea circa l’assenza della bomba dopo aver letto quelle relazioni. Dice, ben diversamente, che quelle relazioni escludevano la bomba, il che non è vero. Né tanto meno la bomba era esclusa dalla relazione resa dalla Commissione di inchiesta Luzzatti (l’unico documento citato da Amato nella sua intervista a Repubblica), la quale, al contrario, diceva di non poter trarre conclusioni in argomento. È un bel paradosso che tanti presunti ricercatori di verità sulla strage di Ustica pretendano di ricorrere a un metodo che non ammette l’esame di ipotesi contrarie alla necessaria verità, senza prove, della “guerra aerea”, alla necessaria verità, senza prove, del missile (ora persino del missile francese): un metodo che anzi squalifica – ma questa volta contro una buona quota di emergenze – l’ipotesi della bomba, spacciando che essa sarebbe esclusa “fin dal primo momento” non dal legittimo convincimento di Giuliano Amato, ma da “relazioni tecniche” di cui obliquamente si suggerisce l’ufficiale definitività.
Di fatto, che adesso Giuliano Amato e la stessa stampa che ne ha rilanciato i ravvedimenti operosi ripieghino sui meriti di una perseveranza nella ricerca e pretesa di verità, dopo aver fatto chiasso nell’ostentazione di inesistenti verità già acquisite, semmai aggrava la portata sostanzialmente mistificatoria di questa iniziativa di presunta informazione. E sarà certamente solo un caso che Amato, convinto da sempre di quella verità – cioè la verità che escludeva la bomba a bordo e invece illustrava la scena della battaglia aerea e il lancio del missile da un aereo francese partito dalla Corsica – ritenesse di non farne mai parola con i giudici che lo interrogavano nel 2001, e soprattutto non ricordasse di averne mai parlato con i militari che gli avrebbero opposto il muro di gomma.
Perché questo, tra l’altro, disse ai giudici: che non ricordava se, nei tanti colloqui avuti con gli ufficiali dell’Aeronautica, si fosse discusso – per ipotizzarla o per escluderla – “della presenza di aerei statunitensi o comunque di aerei militari stranieri nel momento del disastro del DC9”. Cioè non ricordava di aver sottoposto ai più diretti interessati, o comunque ai più immediati osservatori, le circostanze che avrebbero dato corpo alle sue certezze di allora e di oggi: né ricorda se loro, i militari, gli avessero mai detto nulla in argomento. Diciamo dunque che se Amato sa oggi quel che sapeva a quell’altezza di tempo (e proprio questo ci dice oggi), allora non sa proprio nulla. Una condizione di ignoranza che dovrebbe suggerire maggiore cautela a chi si lascia andare a certe divagazioni. E a chi le diffonde.