I fuori concorso
“Hit Man”, anche i killer possono cambiare: il Vangelo laico di Linklater
Tra commedia e noir, la pellicola racconta di un assassino che riesce a dissuadere la mandante di un omicidio dal suo intento. “La nostra identità è più complicata di come la raccontano”
Cinema - di Chiara Nicoletti
Se la sesta giornata della Mostra d’Arte cinematografica è stata definita da Woody Allen e la sua dimostrazione che la commedia può sposarsi egregiamente con ogni altro genere cinematografico, a ribadirlo, il settimo giorno, ci ha pensato un altro regista americano, simbolo del cinema indipendente: Richard Linklater con Hit Man. Presentato fuori concorso, nonostante avesse tutte le carte in regola per gareggiare con gli altri titoli in competizione, il film del regista che ha definito le carriere di attori premi Oscar come Matthew McConaughey, Ben Affleck e Renée Zellweger può essere considerato una commedia romantica su di un omicidio.
Scritto a quattro mani con il protagonista del film, Glen Powell, già nel cast di Tutti Vogliono qualcosa e da poco visto in Top Gun: Maverick, Hit Man trae ispirazione da una storia vera, quella di Gary Johnson, insegnante al college di giorno e part time finto sicario dai mille volti, per la polizia. Alla storia di Johnson, Linklater ha aggiunto l’innamoramento dell’hitman per una potenziale mandante di omicidio, interpretata dalla magnetica Adria Arjona. Da solo a presentare il film senza il suo cast, a causa dello sciopero, Linklater parte dall’incipit: “Sin da quando lessi di questa storia, nel 2001, raccontata da un mio amico giornalista, Skip Hollandsworth, mi è rimasta in mente negli anni ma non ero mai riuscito a condensarla dentro un film. Poi, durante la pandemia, nella primavera del 2020, Glen Powell mi chiama e mi dice di averla letta. Gli ho risposto che la conoscevo già e l’avevo scoperta ai tempi in cui lui ancora portava il pannolino. Abbiamo iniziato a parlarne e lui mi ha fatto pensare che potesse essere la storia di un uomo intrappolato in una doppia identità, ed è lì che ha preso forma Hit Man come la dark comedy che credo sia. Ma i fondamenti di questo film sono veri”.
La possibilità che questo film potesse trasformarsi anche in una storia d’amore, in una sorta di commedia romantica noir, è stata suggerita a Richard Linklater da un aspetto che Glen Powell ha notato nell’articolo di Hollandsworth. Nelle note di produzione l’attore e sceneggiatore infatti ricorda: “Alla fine del pezzo si raccontava che Gary Johnson aveva incontrato questa donna che voleva uccidere il marito e l’aveva dissuasa ed aiutata, capendo che non era un’assassina ma vittima delle circostanze”. La possibile relazione tra i due si è rivelata essere la chiave per sviluppare il film.
“E se quella donna l’avesse contattato nuovamente, se gli avesse chiesto di uscire? Lui sarebbe rimasto intrappolato nel suo fittizio ruolo di sicario”, spiega Linklater. Non è solo commedia romantica Hit Man ma anche noir, thriller e persino uno studio psicologico poiché è un modo cinematografico, che ricalca anche il mestiere dell’attore e del regista, per ragionare sul concetto di identità e quanto, effettivamente si possa cambiare nella vita. Per essere credibile come killer agli occhi di Madison, Gary non solo si veste da Ron, tanto sexy e sicuro di sé da piacere persino ai colleghi della polizia (che invece disdegnano il professor Johnson), ma nel corso del film lo diventa, aprendosi alle possibilità.
“Gary sta cercando di trovare la passione nella vita – scrive Linklater – la trova attraverso Ron, la trova in Madison. Merita di essere punito per questo? Alla fine, nonostante i momenti dark, diventa una persona migliore. Questa è la tesi del mio film, vorrei che il pubblico fosse felice per Gary e Madison nel finale”. Linklater conclude poi rimarcando l’attualità del film: “Il modo in cui lui è intrappolato in questa doppia identità ha a che fare con l’oggi. Abbiamo tante possibilità di proiettarci in identità che non sono la nostra. Hit Man mi sembrava un noir, certo, e se così fosse stato, sarebbe dovuto finire in prigione, ma il mondo oggi è più complicato di così”.
Non solo Linklater quest’oggi ma un concorso che sfodera due carte, l’opera seconda di Pietro Castellitto, Enea ed il papabile Leone d’Oro diretto dalla regista polacca Agnieszka Holland, Green Border, che a 30 anni da Europa Europa, torna ad occuparsi politicamente del suo paese e della nostra Europa raccontando dei migranti al confine tra Polonia e Bielorussia. In conferenza dichiara che “i politici populisti sfruttano le circostanze e quelli come Putin hanno capito i punti deboli del potere europeo e usano questo in modo sempre più efficiente. Credo che l’Europa, figlia del risveglio dopo la Seconda Guerra Mondiale, abbia paura ad affrontare il problema dei migranti, che i mezzi usati siano inefficaci, sanno che così non si risolverà il problema, si tratta solo di usare palliativi sulla ferita aperta, come per la catastrofe climatica crescente per cui dovrebbero decidere cosa fare: l’Europa, se continuiamo così, sparirà, diverrà una fortezza, dove chi tenterà di entrare verrà ucciso, da noi europei”.