Il film di Matteo Garrone
Il protagonista di “Io capitano” nell’Italia di Meloni rischierebbe 30 anni di carcere
"Quello che vuole fare questo governo è andare a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo", disse Meloni. Una definizione scivolosa e contoverrsa che negli ultimi anni ha portato a migliaia di arresti sommari
Cinema - di Antonio Lamorte
Seydou urla, ride e piange, il sole in faccia, un elicottero sulla testa, le grida degli altri migranti attorno sulla barca a galla sul Mar Mediterraneo e il profilo della costa italiana poco lontano. Seydou diventa grande in pochi attimi, non ci può credere di avercela fatta, esulta e si commuove. Seydou ha salvato centinaia di persone e urla: “Io capitano” e per questa dichiarazione rischia trent’anni di carcere. Rischierebbe, visto che è un personaggio di fantasia ispirato a fatti reali, realissimi e drammatici: ai viaggi che portano migliaia di giovani e meno giovani ad attraversare l’Africa e a imbarcarsi sul Mediterraneo per raggiungere l’Europa. Seydou – il protagonista interpretato da Seydou Sarr nel film di Matteo Garrone, premio Mastroianni il primo e Leone d’argento il secondo alla Mostra del cinema di Venezia – rischierebbe fino a trent’anni di carcere nell’Italia di Giorgia Meloni.
“Quello che vuole fare questo governo è andare a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo, perché vogliamo rompere questa tratta”, disse la Presidente del Consiglio in un Consiglio dei ministri a Cutro. Un nuovo reato per “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina” è stato introdotto con pene fino dai 20 ai 30 anni per le persone trovate o scoperte alla guida delle imbarcazioni. Gli scafisti: una definizione scivolosa, controversa, ambigua come poche altre.
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Sono stati tantissimi i migranti presi e sbattuti in prigione negli ultimi anni perché ritenuti scafisti. A volte costretti a forza o sotto ricatto dai trafficanti veri, altre volte affiancate ai capitani come mozzi, altre ancora indicati dai passeggeri degli scafi. Come scoperto da diverse inchieste il sistema dei trafficanti ha imparato a piazzare al comando delle imbarcazioni gli stessi migranti. Persone edotte in maniera improvvisata poco prima di partire. Secondo il rapporto “Dal mare al carcere” scritto dall’Arci Porco Rosso, Alarmphone e Border Europe negli ultimi dieci anni 2.500 persone sono state arrestate perché al timone di un’imbarcazione. 268 soltanto nel 2022. Chissà quanti di questi erano innocenti.
Seydou non ha mai comandato una barca, non sa neanche nuotare. La definizione sommaria di scafista fornita dal governo sfugge a questa complessità che criminalizza soltanto l’ultimo anello di una catena che al sistema può essere anche completamente estraneo, spinto al timone da necessità o violenza. “Inutile prendersela con gli scafisti, che sono gli sfigati della filiera, mentre i veri criminali sono i trafficanti che fanno commercio di esseri umani”, aveva commentato anche Franco Gabrielli, ex capo della polizia ed ex sottosegretario con delega ai Servizi segreti nel governo Draghi.
Io capitano è stato anche criticato: per i suoi spunti fiabeschi, per le scenografie in Senegal e nel deserto troppo oleografate. Può non piacere, può non convincere. Certo lascerà qualcosa: resterà per raccontare le tante tragedie di questi anni, destinati a durare ancora a lungo. Potrà piacere o non piacere, ma riesce a raccontare una storia attuale come un archetipo. Anche questo dettaglio, quello dello scafista per necessità, diventato una politica esecutiva con una decisione sciatta e spregiudicata.