Il dramma migranti
Bambino affogato a Lampedusa: è morto di povertà nell’indifferenza di tutti
Era poco più che neonato il piccolo ritirato su dal mare con i polmoni pieni d’acqua. Ma sulla vera causa della sua morte regna l’indifferenza
Cronaca - di Iuri Maria Prado
Tecnicamente muoiono affogati, bruciati dal sole, divorati dalla fame, sfiniti dalla sete, maciullati contro gli scogli. Ma nulla di tutto questo è ciò di cui veramente muoiono. Come non è morto per mancanza d’ossigeno o per i polmoni invasi d’acqua il bambino poco più che neonato tirato su dal mare di Lampedusa l’altra notte. Come un altro appena più grande, poco tempo fa, non era morto per la causa che avrebbe dovuto impietosirci ma con moderazione, la “ipotermia”, il modo obliquo e meno fastidioso per descrivere la fine di un corpo di pochi mesi e pochi chili freddato da una notte davanti alle nostre coste.
Come l’altra, di due anni, una minuta cosa disidratata in grembo alla madre, solo dal punto di vista meccanico moriva perché il suo organismo era ormai esausto di liquidi. Come tutti questi, centinaia, migliaia, la cui morte è attribuita dal referto medico o di polizia agli insulti di quelle avversità, e dal comizio governativo alla responsabilità degli scafisti cui dare la caccia lungo tutto il globo terracqueo o, alternativamente, all’immoralità dei genitori che li affidano ai rischi del viaggio senza nemmeno scaricare la App del meteo.
E invece tutti loro muoiono soltanto perché sono poveri. Questa banalissima verità dovrebbe indurre tutti a comprendere ciò di cui davvero si tratta quando è in discussione l’esigenza di salvare e accogliere questa gente: non si tratta di fare il possibile per salvare la vita di persone che altrimenti muoiono, che già basterebbe. Si tratta di fare il possibile per salvare la vita di persone che altrimenti muoiono perché sono povere, che è una cosa molto diversa. E invece questa verità banale ha un’efficacia contraria: la morte per effetto della povertà è la causa di un’indifferenza supplementare; ed è difficile assistere, nel caso di un migrante messo a rischio dalla propria miseria, alla trepidazione che invece si rivolge al destino dell’escursionista avventato.
Naturalmente si può rispondere che non importa. Si può rispondere che quella verità banale, e cioè che è la povertà a ucciderli, non rappresenta un problema. Si può rispondere che salvare chi muore perché è povero non costituisce un obbligo in più. Si può rispondere che l’orizzonte delle notizie e il perimetro degli interventi devono limitarsi ai rapporti che parlano di assideramento e di inedia e al decreto che perlustra il Mediterraneo spargendo comminazioni. È un po’ come girare per una piantagione schiavista un paio di cent’anni fa, indugiare con cura medico-legale sulla scomposizione del collo di un cadavere e chiudere gli occhi sulla corda negriera che l’ha impiccato.