I provvedimenti del Governo
Perché il Decreto Caivano è la nostra più grande sconfitta
Sanzionare i genitori che non iscrivono i figli a scuola non risolverà il dramma degli adolescenti smarriti. Come mi capita di dire spesso, anche il peggior scolaro compie comunque un passo in avanti rispetto alla famiglia da cui proviene
Editoriali - di Eraldo Affinati
Ripubblichiamo qui di seguito l’intervento che Eraldo Affinati ha pubblicato sul sito della Cisl scuola, intitolato “Non basta inasprire le pene per veder scomparire i reati”
I recenti provvedimenti del Governo, successivi ai tragici eventi di Caivano e Palermo, dall’impronta palesemente repressiva, hanno aperto un dibattito di grande rilevanza in tutto il Paese, specie per quanto riguarda il mondo della scuola, da sempre il baricentro imprescindibile di ogni azione riformatrice, visto le ripercussioni che qualsiasi cambiamento determina nelle famiglie, nell’educazione dei ragazzi, specie di quelli fragili, in sostanza nella formazione della coscienza nazionale.
In molti, pur ammettendo la necessità di una presenza costante delle Forze di Polizia nei territori più devastati del Meridione, hanno sottolineato il rischio di un intervento unicamente punitivo: non basterà certo inasprire le pene per veder scomparire i reati, specialmente se questi nascono in ambienti culturalmente poveri e degradati. Chiudere i centri di spaccio a cielo aperto resta fondamentale, ma certo, se ci limitiamo a questo, non possiamo illuderci di non vederli rinascere in breve tempo a qualche chilometro di distanza ancora più frenetici e attivi. A meno che non si voglia intraprendere una vera guerra alla camorra, cosa mai fatta, mettendo in conto una lacerazione sociale che qualsiasi esecutivo sarebbe incapace di gestire.
Sanzionare i genitori che non iscrivono i figli a scuola può sembrare una misura opportuna, ma in prospettiva non risolverà il dramma degli adolescenti smarriti e privi di appoggio, dal momento che, come mi capita di dire spesso, partendo dalla mia quarantennale esperienza di docente di lettere negli istituti tecnici e professionali, il peggior scolaro compie comunque un passo in avanti rispetto alla famiglia da cui proviene. Spedire dietro le sbarre i giovani criminali a qualcuno potrà sembrare sacrosanto, ma io i ragazzi veramente irrecuperabili li ho visti solo in carcere. In qualsiasi altro luogo li incontrassi percepivo, anche nei più ribelli e indisciplinati, una scintilla di speranza. A Casal del Marmo, al Cesare Beccaria, al Ferrante Aporti, assolutamente no.
Me lo dicevano in faccia: professore, noi appena usciamo torniamo a rubare. Non abbiamo altra scelta. Allora poniamoci una domanda: in questi casi lo Stato ha vinto o perso? Nell’immediatezza delle tremende violenze giovanili che abbiamo registrato contro ragazzine indifese, numerosi osservatori hanno invocato l’oscuramento dei siti pornografici ma appena i tecnici hanno provato a mettere mano alla questione, ci si è resi conto della sostanziale impossibilità di fermare la rivoluzione digitale, anche nei confronti dei bambini, i quali, specie nelle zone di cui stiamo parlando, sono in costante contatto coi più grandicelli.
Detto ciò però la spina resta incisa nella nostra carne. Sarebbe troppo facile fare l’elenco delle buone intenzioni mentre la foresta brucia: dobbiamo agire in modo preventivo trasformando la scuola in un centro vitale di aggregazione, cellula propulsiva del rinnovamento, coi locali sempre aperti, il personale specializzato, gli sportelli di consulenza, le associazioni del Terzo Settore in grado di collaborare, insieme alle parrocchie e alle agenzie educative, i volontari che convincono i bimbi a non abbandonare l’aula, gli assistenti sociali pronti a entrare nelle case per individuare le mele marce, i consigli di classe che agiscono in sintonia fra di loro. Come dubitarne? La strada maestra da percorrere passa attraverso il coinvolgimento diretto dei ragazzi migliori da formare come modelli di riferimento per quelli più disastrati. È lì che dovremmo investire le energie.
Eppure ogni qual volta accadono eventi come quelli da cui siamo partiti abbiamo la sensazione di avere fallito. A mio avviso bisogna dichiararlo con più forza di quanto facciamo. Prendere atto che molte azioni di recupero, pur meritevoli, non hanno modificato granché la condizione di scoramento da cui nascono certi gesti estremi. Erano troppo estemporanee e poco strutturali? Gocce di miele nell’oceano di petrolio? Lo sappiamo fin troppo bene: un insegnante, per quanto bravo e carismatico, se viene lasciato da solo, privo del sostegno corale delle istituzioni, invischiato nel groviglio delle mansioni da svolgere, è destinato a non incidere come dovrebbe.
Magari non è sempre così, tante piccole vittorie quotidiane non fanno notizia. Ma i territori abbandonati esistono eccome: basta andare a Castel Volturno per comprenderlo appieno, in quella che mi è capitato di definire “una striscia di Gaza italiana”. Nascere e crescere sulla via Domiziana significa portare sulle spalle un fardello non indifferente. Vuol dire che dovremmo rinunciare a lavorare in profondità e, invece di ricostruire la vegetazione distrutta, usare il pugno di ferro? Sarebbe questa la nostra vera sconfitta.