Solo dolori per la premier
Ultimatum UE a Meloni: “Firma il Mes!”
Oggi la premier incontra Orban, il suo alleato europeo espulso dal Ppe. Von der Leyen si ricandida alla guida della Commissione europea
Politica - di David Romoli
L’idillio tra il governo di Giorgia Meloni e l’Europa è finito. La preoccupazione evidente nelle parole della premier di fronte all’Assemblea nazionale del suo partito si spiega così, certo non con il timore di un’opposizione del tutto inoffensiva. L’Europa invece inoffensiva non è e la non belligeranza di Bruxelles, Berlino e in fondo anche di Parigi è stata la sola vera carta vincente del governo di destra, quella che ha fatto la differenza tra Meloni e Salvini. Quella carta non è più disponibile. I primi risultati della ridislocazione della Ue nei confronti dell’Italia si sono già visti ma probabilmente il peggio deve ancora arrivare.
In punta di diritto l’irritazione di Berlino e Parigi è giustificata. La Germania ha sospeso il “meccanismo volontario di solidarietà” che era stato voluto proprio dalla ministra tedesca Nancy Faeser accusando l’Italia di disattendere il trattato di Dublino con il rifiuto di riprendere i richiedenti asilo arrivati in Italia e poi passati in Germania. La Francia ha ammassato truppe al confine di Ventimiglia, nella fondata convinzione che l’Italia non eserciti affatto controlli severi con i migranti in uscita dal quel confine. In tutta evidenza le circostanze specifiche hanno inciso sulle decisioni dei due principali Paesi dell’Unione: l’ondata di sbarchi spaventa Parigi e Berlino. In questi casi la solidarietà europea è sempre stata una barzelletta.
La ministra Faeser, in patria, era tartassata di critiche per quella decisione e con le elezioni europee vicine per i governi blindare i cancelli diventa un’esigenza elettorale. Però anche al netto di queste pur fondate considerazioni l’ostilità nei confronti dell’Italia è palese e consapevole. Il colpo basso della Bce sulla tassa per gli extraprofitti delle banche è stato persino più doloroso. Il report di Francoforte non è un’analisi ma una requisitoria che spalleggia e spinge le corpose forze che in Italia si preparano a svuotare quel provvedimento rendendolo più o meno un guscio vuoto, a partire dalla Forza Italia di Antonio Tajani, il più bellicoso di tutti.
La prosa della Bce è involuta e rasenta l’incomprensibile, ma in sintesi dice che la tassa è sbagliata perché mette a rischio la crescita, in quanto le banche potrebbero reagire con una stretta sul credito, e perché minaccia di vanificare parzialmente gli effetti del rialzo dei tassi da parte della banca stessa. Aggiunge che comunque e in ogni caso i proventi di quel provvedimento, che deve restare una tantum e a nessuno passasse per la mente di tassare altri extrprofitti che pure ci sono eccome, non possono essere usati per il risanamento del bilancio. Cioè, di fatto, come coperture per una legge di bilancio che è appunto senza coperture.
E’ improbabile che la Bce non fosse cosciente del colpo che stava infliggendo a una premier che sulla tassa si è esposta personalmente sino al punto di giocarsi letteralmente la faccia. Con queste premesse è difficile che il ministro dell’Economia faccia le valigie per Santiago de Compostela, dove domani e sabato il vertice informale Ecofin inizierà a fare sul serio in materia di Patto di Stabilità, con animo sgombro da preoccupazioni. Le previsioni, chissà se fondate, dicono che in quella sede la richiesta di ratificare la riforma del Mes diventerà ultimativa e che gli spiragli per rendere un po’ meno penalizzante il rientro in vigore del Patto, forse riformato e forse no, saranno esigui.
A determinare la svolta europea sono stati probabilmente diversi fattori, tra i quali svetta l’abbandono da parte del Ppe del progetto di cambio di maggioranza. Ieri Ursula von der Leyen ha quasi ufficializzato la sua ricandidatura alla guida della Commissione europea, intenzione già universalmente nota, ma in tutta evidenza con la stessa maggioranza, se del caso allargata ai Conservatori ma in postazione periferica. Ma nel declino delle azioni di Meloni in Europa c’entra probabilmente anche la guerra in Ucraina. Per un anno la posizione di principale sostenitrice della linea più agguerrita le ha garantito una copertura assoluta.
Ma, dietro le dichiarazioni di rito, la linea dei falchi diventa ogni giorno meno popolare in Europa e a farne le spese è anche una premier che era stata accettata più di quanto fosse mai avvenuto per un governo di destra proprio in virtù dell’affidabilità agli occhi della Nato. Ma comunque si spieghi la sterzata europea tutto per la premier italiana è diventato molto più difficile. Meloni, però, è una politica abile, e risponde all’attacco fingendo di non vederlo e anzi cercando di girarlo a proprio vantaggio: “Mi aspettavo la mossa della Germania. I ricollocamenti sono come la coperta di Linus. Gli irregolari vanno fermati prima che arrivino in Italia”. E il coinvolgimento di Draghi annunciato anche come mossa elettorale da von der Leyen “è una ottima notizia: è uno degli italiani più autorevoli e presumo che possa avere un occhio di riguardo per noi”. Mica come quel Paolo Gentiloni.