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Chi era Fernando Botero, il pittore e scultore colombiano delle “rotondità”: raffigurò anche le torture di Abu Ghraib

Chi era Fernando Botero, il pittore e scultore colombiano delle “rotondità”: raffigurò anche le torture di Abu Ghraib

È morto oggi, all’età di 91 anni, il celebre pittore e scultore colombiano Fernando Botero. A darne notizia è stato il quotidiano colombiano ‘El Tiempo’, che definisce Botero come “l’artista colombiano più grande di tutti i tempi”. Botero è deceduto nel Principato di Monaco, a seguito di complicanze alla sua salute sopravvenute da alcuni giorni: negli anni Ottanta aveva vissuto a lungo anche in Italia, a Pietrasanta, in provincia di Lucca, per via della vicinanza alle cave di marmo di Carrara.

Le sue opere, quadri e sculture, sono tra le più riconoscibili tra gli artisti della seconda metà del Novecento: Botero infatti rappresentava soggetti dalle forme molto voluminose e che spesso reinterpretavano l’arte sacra.

Nato a Medellín, in Colombia, il 19 aprile 1932 dal padre uomo d’affari David Botero e dalla madre sarta Flora Angulo, già da adolescente mostrò chiaramente il suo talento precoce nell’arte: a 16 anni realizzò la sua prima mostra. Nel 1952 col ricavato del secondo premio ricevuto al IX Salone degli artisti colombiani, Botero intraprende un viaggio in Europa che lo porterà prima in Spagna, poi a Parigi e quindi in Italia, dove entra in contatto con le maggiori opere del Rinascimento italiano, soprattutto di Giotto e di Andrea Mantegna.

Torna in Colombia tre anni dopo, ma in patria lo attendono le critiche per le sue opere, respinte dall’ambiente artistico locale all’epoca fortemente influenzato dall’avanguardia francese, che Botero aveva invece respinto. Si trasferisce quindi in Messico, quindi ottiene nel 1958 la cattedra di pittura all’Accademia d’arte di Bogotá e vince finalmente il primo premio al XI Salone con l’opera “La camera degli sposi”.

Negli anni Sessanta si sposta negli Stati Uniti, a New York, e in quegli anni emerge il suo stile plastico in molte opere di questo periodo, dai colori tenui e delicati. In quegli anni espone anche in Europa, in Germania e a Parigi, dove si stabilisce nel 1973 dedicandosi alla scultura. L’anno seguente in un incidente stradale perde il terzo figlio Pedro, al quale dedicherà molte sue opere: proprio in quell’incidente Botero perderà l’ultima falange del mignolo della mano destra, e questo lo indurrà a scolpire spesso enormi mani.

Nel 1983 ritorna in Italia e apre uno studio a Pietrasanta, dove soggiorna per alcuni mesi dell’anno, per essere vicino alle cave di marmo di Carrara.

Negli anni Duemila faranno scalpore gli oltre 50 disegni e dipinti che vanno a formare il ciclo “Abu Ghraib”, raffigurando col suo iconico stile i prigionieri detenuti dalla Cia e dall’esercito statunitense nella prigione irachena durante la guerra in Iraq per rovesciare il regime di Saddam Hussein.

Come sottolinea Artshapes, le opere di Botero raffiguravano i prigionieri “posti al centro della scena, nudi, bendati, incappucciati, legati, umiliati e talvolta aggrediti da feroci cani. Le bocche aperte dei detenuti sembrano voler pronunciare ciò che si voleva mettere a tacere. Al contrario i corpi dei soldati degli Stati Uniti spiccano per la loro assenza. Dei torturatori non identificabili, spesso si scorge solo un braccio che impugna un’arma, una mano ricoperta da un guanto chirurgico blu che aizza le belve o un anonimo stivale che sferra un calcio”.