Corpi e gabbie
L’attacco perenne al nostro “corpo pensante”
Dai processi riproduttivi al fine vita, dalle carceri al 41 bis, ai centri per i rimpatri dove i migranti scontano una pena senza reato né colpa. Il “corpo pensante”, libero e autodeterminato, è perennemente aggredito su più fronti
Editoriali - di Andrea Pugiotto
Ognuno di noi è una singolarità incarnata in un «corpo pensante», ambito di nostra signoria. Come ho già ricordato a proposito del tentativo di governare dall’alto i processi riproduttivi (L’Unità, 4 luglio), è questo dato esistenziale a collocare le questioni del corpo al centro di tutti i conflitti per le libertà e i diritti. E non da ora: risale alla Magna Charta del 1215 l’introduzione dell’habeas corpus, regola cruciale costruita attorno all’indisponibilità e all’inviolabilità del corpo del cittadino da parte del sovrano. Incapacitarlo, infatti, significa togliere al soggetto, insieme alla libertà personale, l’autonomia nell’agire.
Il nostro «corpo pensante» (dunque libero e autodeterminato) è una cittadella perennemente aggredita, da più versanti. Persino i più indicibili e impensabili, fino a ieri: dal velleitario reato universale a punire la pratica della gestazione per altri (anche se solidale), all’idea di introdurre la castrazione chimica a carico dei rei per delitti di violenza sessuale (addirittura in forma coatta «nei casi di recidiva e qualora tali reati sono stati perpetrati a danno di minori»: AC n. 272, XVIII Legislatura).
Ben vengano, dunque, due concomitanti iniziative promosse da realtà associative tra le più impegnate sui temi del «corpo recluso» e dei suoi più drammatici risvolti, testimoniati dall’impennata estiva di suicidi in carcere. Il primo appuntamento è alle ore 9.00 di domani, a Roma, presso i giardini adiacenti al Ministero della Giustizia, dove si terrà la manifestazione nazionale «per il rispetto della Costituzione, per il rispetto della dignità dei detenuti, della dignità degli operatori penitenziari tutti e per ricordare le tante, troppe morti all’interno degli istituti penitenziari».
Convocata da Sbarre di Zucchero, Ristretti Orizzonti, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e appoggiata da molte altre sigle, la manifestazione è concepita nel segno della massima inclusione, rivolgendosi ad associazioni di volontariato, sindacati di Polizia penitenziaria, singoli cittadini; «corpi pensanti», individuali e collettivi. L’altro appuntamento si apre oggi a Firenze e proseguirà nelle giornate del 16 e 17 settembre: è il seminario promosso dalla Società della Ragione, in collaborazione con CRS Archivio Ingrao e Associazione Luca Coscioni, dedicato a un tema uno e trino: «Corpi, diritti, soggettività».
L’area di intersezione tra i tre lemmi del titolo è il «corpo imprigionato», privato del diritto fondamentale alla libertà personale. Da qui, a raggiera, muovono le relazioni seminariali dedicate alle forme di incapacitazione del soggetto, ridotto – attraverso la progressiva erosione dei propri diritti – «a pura corporeità, a “corpo in sé”, mutilato di soggettività». La cornice comune a tutti i carotaggi tematici sarà fissata nelle riflessioni introduttive su «corpi e autonomia», condotte da prospettive differenti: quella etica; quella del contesto politico-parlamentare attuale; quella del processo storico di affermazione del principio di intangibilità del corpo da altrui espropriazioni. Della perdita di questa originaria autonomia, l’attualità offre esempi copiosi: saranno l’innesco di tutti gli interventi programmati.
Del «corpo recluso» si parlerà a partire dall’ipotesi di un minus di diritti giustificato dalla responsabilità dell’istituzione che lo ha in custodia. Problema, questo, emerso nel “caso Cospito” attraverso il controverso parere espresso dal Comitato Nazionale per la Bioetica.
Davvero, l’asserita vulnerabilità del soggetto detenuto può giustificare un limite alla sua autodeterminazione? Come può accadere che la pratica nonviolenta dello sciopero della fame «venga rovesciata nel suo opposto: atto violento di ricatto contro lo Stato che lo autorizzerebbe, perfino, a ricorrere al trattamento sanitario obbligatorio» (Maria Luisa Boccia)?
Quello del detenuto è anche un «corpo castrato» dal divieto, operante in ambito penitenziario, all’esercizio della sua affettività-sessualità con il partner. Un’amputazione comunemente derubricata a mero pregiudizio di fatto, consequenziale allo stato di reclusione, come tale giuridicamente non apprezzabile, quindi trascurabile. Non è questa, però, la posizione della Corte costituzionale che inquadra il diritto all’affettività tra le libertà inviolabili della persona garantite dall’art. 2 Cost. (sent. n. 561/1987). E che, già dieci anni fa, ammonì perentoriamente il legislatore a «permettere alle persone sottoposte a restrizione della libertà personale di continuare ad avere relazioni affettive intime, anche a carattere sessuale» (sent. n. 301/2012), come già accade in tanti paesi europei.
Qui l’attualità bussa alle porte di Palazzo della Consulta: è a ruolo il prossimo 10 ottobre l’udienza pubblica per decidere la pertinente quaestio promossa dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto (ord. n. 5, in G.U. dell’8 febbraio 2023). La dimensione del «corpo violato» chiama in causa, innanzitutto, il reato di tortura. Dalla sua tardiva introduzione (legge n. 110 del 2017) ad oggi, tante sono le indagini e i processi per violenze perpetrate contro detenuti: dai fatti avvenuti nel carcere “Le Vallette” di Torino (ottobre 2018), a quelli del carcere di Santa Maria Capua Vetere (aprile 2020) e del carcere di Bari (aprile 2022). Si spiega così la regressiva proposta legislativa di Fratelli d’Italia (AC n. 623, XIX Legislatura) mirante alla sostanziale abrogazione dell’aggravante comune di tortura prevista all’art. 61 c.p.
Non rientrano giuridicamente in tale fattispecie le reclusioni estreme del carcere duro (41-bis ord. penit.) e dell’ergastolo ostativo (art. 4-bis, ord. penit.). Eppure, entrambe, sono assimilabili a un trattamento inumano e degradante ed anche alla tortura giudiziaria, se concretamente finalizzate alla collaborazione coatta con la giustizia. Della loro conformità a Costituzione è lecito continuare a dubitare. In penombra rispetto al carcere, esistono altri regimi di reclusione che riducono il soggetto a un «corpo emarginato», la cui incapacitazione è frutto di stigma sociale.
Vale per l’internato nella casa di lavoro: vera e propria “detenzione sociale” per soggetti imputabili che, scontata la propria pena, vi sono rinchiusi sulla base di prognosi (l’«inclinazione al delitto», l’«indole particolarmente malvagia») ereditate dal codice Rocco. Mai abrogate, sono l’espressione di una contemporaneità illiberale che si vorrebbe abolire per legge (AC n. 158, Magi, XIX Legislatura). Vale anche per il folle-reo: fino a ieri destinato a un OPG perché socialmente pericoloso, oggi internato in una struttura finalmente a vocazione terapeutica, la REMS, che vive però una perenne instabilità ordinamentale, ora messa criticamente sotto osservazione anche dalla Consulta (ord. n. 22/2022, sent. n. 131/2021).
Corpi ai margini sono, infine, quelli degli extracomunitari reclusi nei Centri di Permanenza per Rimpatri: una galera amministrativa senza reato o colpa; regime separato e peggiore della detenzione perché privo delle garanzie comunque previste nell’ordinamento penitenziario e nel codice penale. Da oggetto di coercizione il corpo può diventare strumento di oppressione, a causa di una grave patologia o di un coma irreversibile: un «corpo-prigione». Da condizione di libertà si fa cella di quanto sopravvive della persona in esso ristretta: è allora che ritorna insidiosa la tentazione altrui di signoreggiare sul suo corpo.
È il tema dell’agevolazione al suicidio e dei tanti ostacoli frapposti all’attuazione della nota sent. n. 242/2019 sul “caso Cappato-DJ Fabo”. Anche in questa prospettiva capovolta la centralità del corpo esce confermata: bene fa il seminario a dedicarvi attenzione. Corpi, dunque: pensanti, reclusi, castrati, violati, emarginati, fino a farsi prigione. Il ricco catalogo dei temi in discussione è questo: lo si potrà consultare in diretta streaming (societadellaragione.it). Da segnare in agenda.