Morti e imprese

Morti bianche, i fondi per la sicurezza ci sono ma spenderli è vietato…

Ogni anno l’Italia impiega 53 miliardi tra risarcimenti e oneri connessi a incidenti sul lavoro. Investire in prevenzione, si dice. Giusto. Ma per le aziende, che pure versano allo Stato, accedere ai finanziamenti è spesso impossibile per via delle stringenti regole sul debito pubblico. Il risultato? 37 miliardi di euro congelati

Editoriali - di Cesare Damiano - 19 Settembre 2023

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Morti bianche, i fondi per la sicurezza ci sono ma spenderli è vietato…

In questi giorni sono fortemente presenti, nel Paese, il cordoglio e l’indignazione per i numerosi e drammatici incidenti mortali sul lavoro che si verificano a un ritmo impressionante. Qual è, dunque, la situazione per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro? Quali le ragioni di questa tragica catena? Su quali piani si deve investire? Legislativo, contrattuale, della prevenzione, della vigilanza? Iniziamo il nostro ragionamento mettendo in relazione eventi che, in diversi passaggi d’epoca, mostrano analogie.

Vi sono momenti nella storia del nostro Paese nei quali il più alto magistero, quello del presidente della Repubblica, si è fatto carico di interpretare, da un lato, i sentimenti diffusi della cittadinanza e, dall’altro, di indicare al legislatore l’urgenza dell’azione politica rispetto a fenomeni drammatici, soprattutto quando abbiano rilevanza umana e sociale come in questo caso. C’è una corrispondenza geometrica tra gli interventi di questi giorni di Sergio Mattarella e quelli di Giorgio Napolitano nel 2007, in particolare nel messaggio che il Presidente rivolse al Paese per la fine di quell’anno, dopo l’incidente avvenuto il 6 dicembre alla Thyssenkrupp di Torino che aveva causato sette vittime e un ferito grave in circostanze che, lunghi anni di indagini e procedimenti giudiziari, hanno dimostrato essere vergognose.

L’innesco di questi interventi presidenziali sono stati gli incidenti sul lavoro che, per la loro dinamica e il loro bilancio, hanno scatenato la generale indignazione e un senso di urgenza volto a porre un freno a simili fenomeni: ma la moral suasion dei due Presidenti è stata costante, ben al di là dei clamori mediatici. Perché si tratta di un tema che ci parla di disprezzo per le norme di sicurezza, di indifferenza per la salute e la vita stessa dei lavoratori e anche di superficialità e sciatteria. Il giorno dopo l’incidente, accaduto la notte tra il 30 e il 31 agosto di quest’anno alla stazione di Brandizzo, Sergio Mattarella, uomo abituato a pesare le parole con grande attenzione, non ha usato mezzi termini per descrivere la sensazione provocata dall’evento: “Tutti quanti abbiamo pensato come morire sul lavoro sia un oltraggio ai valori della convivenza”.

È vero. Questi accadimenti non possono che far percepire come il mondo del lavoro si collochi in un territorio dal quale la civiltà sembra, in simili casi, esclusa. Il 12 settembre scorso il presidente ha inviato al ministro del Lavoro, Marina Calderone, un messaggio in occasione dell’inaugurazione di un corso di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro per 800 ispettori, ricordando che “la presa in servizio degli ispettori tecnici ha una importanza fondamentale. Una presenza e una competenza di cui sentivamo fortemente bisogno. Un numero che sicuramente dovrà aumentare e per il quale stiamo lavorando con tutto il nostro impegno. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro rappresenta uno dei presidi di legalità dello Stato”. Poco tempo dopo, il 13 settembre, si è verificata un’esplosione alla Sabino Esplodenti di Casalbordino, in provincia di Chieti, che ha annientato la vita di tre lavoratori. Nelle stesse ore vi sono state altre vittime in una raffica di incidenti.

UN BILANCIO STORICO

Possiamo dire che, nel tempo storico, abbiamo registrato importanti miglioramenti. Di solito, noi prendiamo a riferimento gli ultimi 60 anni, dal boom economico a oggi. Dagli oltre 10 morti al giorno di allora, le fredde statistiche ci dicono che siamo passati progressivamente a una media di 3. I motivi di questo andamento positivo sono noti: l’adozione di nuove tecnologie, la lungimiranza di una parte delle imprese, la contrattazione sindacale, la legislazione, l’attenzione all’ergonomia. Però, siamo, appunto, in una situazione nella quale non riusciamo a scendere sotto questa soglia dei 3 morti al giorno, 1.000 decessi all’anno, ancora una vera strage. Quindi, il panorama che ci offrono i dati dell’Inail è sempre quello. Una sostanziale linea retta, negli ultimi anni, per quando riguarda le morti sul lavoro. Mentre diminuiscono gli incidenti non mortali e aumentano le malattie professionali.

Il Decreto 81 del 2008 si basava su tre concetti: prevenzione, formazione e repressione. Io credo soprattutto alla prevenzione e alla formazione. Poi, i controlli e le sanzioni sono assolutamente necessari, ma come intervento di ultima istanza. Prevenzione vuol dire spostare l’asse dal risarcimento all’investimento. L’Italia, ogni anno, spende 3 punti di Prodotto Interno Lordo, più di 50 miliardi di euro, per risarcire le morti, le inabilità parziali o totali, le ferite e il disagio derivanti dagli incidenti sul lavoro. Riuscire a convertire una quota parte di quelle risorse in prevenzione è fondamentale. Quel 3% del Pil è, purtroppo, una media internazionale.

L’Istituto preposto, l’Inail, del quale sono stato consigliere di amministrazione fino all’incomprensibile commissariamento deciso dal governo Meloni, si muove già in questa direzione. I bandi Isi, Interventi di sostegno alle imprese, prevedono un finanziamento a fondo perduto per investimenti in prevenzione a favore delle aziende, con un massimale di 130.000 euro per ogni intervento: nel 2022 sono stati stanziati a questo scopo 333 milioni di euro. A questi bandi dobbiamo aggiungere il meccanismo del bonus-malus sui premi assicurativi pagati dalle aziende nel caso della certificazione di “infortuni zero” nel periodo precedente. Si tratta di un raro caso nel quale, giustamente, l’azienda virtuosa viene premiata.

Però, c’è un “ma”. “Ma” che è costituito dal fatto che, pur risparmiando l’Inail una cifra di un miliardo, un miliardo e mezzo l’anno nel rapporto tra entrate e spese (si deve ricordare che sono fondi versati dalle imprese), quei soldi sono vincolati in quanto Istituti come Inps e Inail rientrano nel computo del debito pubblico. Collocazione che “tira il freno” sul fronte degli investimenti in prevenzione e formazione, una quota più significativa dei quali sarebbe, invece, necessaria. La politica, al di là delle parole di cordoglio, deve fare delle scelte: a mio parere un po’ più di debito è giusto se questo serve per gli investimenti che tutelano salute e sicurezza. In caso contrario bisogna avere il coraggio di dire che una parte dei premi Inail pagati dalle aziende rappresentano una tassazione occulta a loro carico e non hanno niente a che vedere con i premi assicurativi. Di risparmio in risparmio l’Inail ha in deposito presso la Tesoreria una cifra cumulata superiore ai 37 miliardi di euro, a rendimento zero, naturalmente. E poi ci lamentiamo sul fatto che non si faccia sufficiente prevenzione e cultura della sicurezza.

Sul fronte normativo si dovrebbe, innanzitutto, completare il Decreto 81 del 2008 a partire dalla cosiddetta “patente a punti”. Nelle gare d’appalto sarebbe auspicabile conteggiare, nella misura massima possibile, ai fini dei punteggi, tutte le azioni virtuose previste dalle aziende nel campo della prevenzione. Si deve combattere la pratica, esplosa con il “bonus 110%”, dell’iscrizione alla Camera di Commercio di aziende, perlopiù individuali, senza esperienza e cultura professionale nel settore dell’edilizia: si costituiscono imprese fantasma e improvvisate, senza attrezzature, macchinari, né manodopera che svolgono un’opera di pura intermediazione di lavoro a basso costo. Una forma di “caporalato edilizio” denunciato dalle associazioni delle imprese della categoria e dai sindacati.

Andrebbe anche rivisto il nuovo Codice degli appalti nel quale, come spesso accade, si confonde la parola “semplificazione” con la deregolazione. Un conto è semplificare gli adempimenti, un conto è togliere le regole. Si dovrebbe cancellare o almeno accorciare la catena dei sub-appalti, non favorirla e allungarla e, soprattutto, chiudere definitivamente il capitolo del massimo ribasso a vantaggio della offerta economicamente più vantaggiosa. La logica da affermare, se si punta alla eccellenza, è: può vincere anche chi ha il prezzo più alto nel caso in cui offra la migliore qualità tecnica, il pieno rispetto delle regole della sicurezza e la trasparenza retributiva.

LA NUOVA FRONTIERA DELLA DIGITALIZZAZIONE

Infine, come ci dimostra Brandizzo, è opportuno potenziare tutti gli elementi di alleanza e collegamento tra ricerca, produzione dei macchinari, progettazione della organizzazione del lavoro e rispetto della sicurezza: dall’orditoio, che ci riporta alla vicenda di Luana D’Orazio (perché quel macchinario era progettato per continuare a produrre anche se era stato tolto il riparo, scelta che ha provocato la morte della lavoratrice?); al robot o all’esoscheletro ergonomici; all’accesso al cantiere controllato per via digitale e con l’uso dei microchip nei Dispositivi di Protezione Individuale ai fini del loro effettivo utilizzo. Incorporare come elemento trainante della progettazione (mi rivolgo in particolare agli Ordini e alle associazioni degli ingegneri e degli architetti), il tema della sicurezza e dell’ergonomia che porta con sé il valore della persona che lavora e non soltanto la velocità dell’esecuzione e del risparmio di tempo e di denaro, è fondamentale.

Da questo punto di vista si deve fare sicuramente quel salto in avanti che chiede il presidente della Repubblica. Si tratta dell’elaborazione di un nuovo profilo, anche legislativo e contrattuale, per quel che riguarda l’utilizzo della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale al fine del governo dei processi produttivi. Se a Brandizzo la trasmissione del permesso di inizio lavori non fosse avvenuta, come nel secolo scorso, tramite telefono o fonogramma, facilmente aggirabili, ma attraverso una procedura rigida governata dagli strumenti digitali, non ci sarebbe stato spazio per una prassi perversa di anticipo di inizio e fine lavori in una situazione di oggettivo pericolo e non avremmo avuto quella tragedia. Il tutto in un contesto nel quale le Ferrovie dello Stato hanno sempre dimostrato grande attenzione al tema della sicurezza: ma anche questo non è più sufficiente, soprattutto in presenza delle catene di appalto.

Quello che anche i recenti incidenti mortali ci indicano è che c’è una enorme distanza tra “il dire e il fare”. Tra le leggi che dicono come comportarsi e la prassi quotidiana che non applica quel che dispongono le leggi. L’appello che il Presidente Mattarella ci fa pervenire è, perciò, più che pertinente. La passione che esprime è pari a quella di Napolitano che, con i suoi interventi ripetuti di moral suasion ha dato impulso e aiuto anche al Governo Prodi, del quale ero ministro del Lavoro, a emanare il Decreto 81 nell’aprile del 2008 quando quell’Esecutivo era già dimissionario e svolgeva semplicemente gli affari correnti. L’appello di Mattarella non deve restare inascoltato, così come non rimase quello di Napolitano. Ne va, come affermato dal Presidente, della stessa convivenza civile.

19 Settembre 2023

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