Le sfide della segretaria
Quale è il problema di Elly: il fuoco amico del Pd che prepara il dopo Schlein
La pdl proibizionista del bonacciniano De Maria, l’intervista a muso duro di Gruber e Giannini, le critiche per il sostegno alla campagna anti-Jobs Act: una raffica di allarmanti scricchiolii. Se alle europee i dem si fermassero sotto il 20% le tensioni arriverebbero alle stelle
Politica - di David Romoli
Elly Schlein ha un problema: il Pd. Basta mettere insieme i tanti segnali emersi nelle ultime due settimane per concludere che a meno di 8 mesi dall’elezione della nuova segretaria diverse fonti di malessere e a volte di aperto dissenso stanno uscendo allo scoperto. Conviene partire dall’ultimo fattaccio in ordine di tempo, perché particolarmente eloquente. Andrea De Maria, deputato del Pd, ha presentato una proposta di legge per innalzare drasticamente la pena per la detenzione di stupefacenti leggeri: attualmente la pena va da 6 mesi a 4 anni. De Maria propone di portare la forbice dai 2 ai 6 anni. Un provvedimento proibizionista coi fiocchi.
De Maria viene dal correntone di minoranza nel quale è confluita anche la corrente degli ex renziani Base riformista, quella Energia popolare che fa capo a Stefano Bonaccini anche se il governatore dell’Emilia-Romagna si è rassegnato alla nascita del correntone di minoranza decisamente controvoglia. Nel quale correntone De Maria è responsabile dell’Organizzazione: dirigente di primo livello. Impossibile non sospettare una precisa volontà di colpire la segretaria, che è invece attestata su posizioni antiproibizioniste. L’antiproibizionismo, peraltro, non è uno di quei fronti roventi che vedono il Pd diviso da sempre. La coltellata in questo caso arriva a sorpresa.
Non è la sola brutta sorpresa della quale Elly ha dovuto prendere atto in pochi giorni. La durezza mostrata da Lilli Gruber e Massimo Giannini è stata talmente plateale, l’intenzione di incalzare la segretaria e metterla con le spalle al muro tanto vistosa, da costituire quasi un caso politico. Non che la conduttrice di Otto e mezzo sia nuova ad interviste manganellanti. Sotto il rullo erano passati in tanti: Conte, Renzi, Boschi, la stessa Giorgia Meloni. Però non era mai successo che la giornalista palesasse tanta ostilità nei confronti di un dirigente del Pd, e tanto meno del segretario. Giannini, meno ruvido nei modi ma altrettanto implacabile nella sostanza, viene poi da quell’area politico-culturale che aveva accolto con palese soddisfazione e alto tasso di speranzosità l’arrivo dell’outsider. L’intervista a muso durissimo segnala che in quegli ambienti qualcosa negli ultimi mesi è cambiato.
È certamente di natura diversa la posizione in controtendenza rispetto alla linea della segreteria di alcuni sindaci sul coinvolgimento dell’esercito in campo di immigrazione. Il primo cittadino torinese, Stefano Lo Russo ha detto senza mezzi termini che “l’esercito è essenziale: da soli non reggiamo”. La collega sindaca di Piacenza Katia Tarasconi non boccia neppure i campi di detenzione: “Ben venga l’aiuto dell’esercito. La polizia non basta. Il punto è trovare luoghi consoni”. Il sindaco di Prato e responsabile immigrazione dell’Anci Biffoni è “disponibilissimo a collaborare col governo: l’importante non è il colore del gatto ma che prenda il topo”.
Non è un dissenso di fondo, ma una differenziazione pragmatica comunque significativa. Soprattutto perché si affianca a distinguo di ben altra portata. Il sostegno alla campagna contro il Jobs Act della Cgil ha provocato una tale ondata di critiche all’interno del partito che nella famigerata intervista televisiva la segretaria, interrogata sull’abolizione del Jobs Act, si è impegnata solo a “discuterne con Landini”. La presa di posizione contro le spese militari, forse la più coraggiosa assunta da Schlein da quando è segretaria, è stata rapidamente rintuzzata: tanto che, incalzata dai due giornalisti, si è trincerata in un quasi inconcepibile “Quando saremo al governo decideremo”. Il commento caustico sui 30 dirigenti liguri passati ad Azione, “Forse avevano sbagliato indirizzo”, è stato tanto bersagliato anche da capibastone che avevano sostenuto la candidatura dell’outsider da convincerla a ingranare una completa retromarcia nel comizio conclusivo della festa dell’Unità a Ravenna. Proprio a Ravenna si era consumato un altro incidente eloquente, quando l’ex segretario Zingaretti, dopo aver elogiato dal palco la leader, aveva commentato in privato: “Con questa non arriviamo al 17%”.
Questa nutrita raffica di allarmanti scricchiolii deriva da fattori diversi e distinti, ma convergenti. La minoranza, nonostante le rassicurazioni dal palco a Ravenna, è convinta che Schlein e ancor più di lei il gruppo dirigente di provenienza esterna al partito che si è scelta considerino la vecchia dirigenza “una bad company da liquidare al più presto” e si prepara a reagire di conseguenza dopo le europee. Nella maggioranza, all’ormai classico malumore per la tendenza di Elly a discutere le scelte fondamentali solo con pochi intimi, si aggiungono dubbi nuovi e più politici.
Una parte dell’establishment aveva puntato sull’outsider nella convinzione che fosse la sola mossa possibile per evitare di precipitare alle europee. Senza mettere nel conto il peso che hanno invece assunto, nel delineare la linea dell’eventuale futura coalizione di centrosinistra, Conte e Landini. La segretaria si rifiuta di parlare di “asticelle”, in concreto della percentuale nel voto europeo al di sotto della quale la sua segreteria vacillerebbe: “Sono stata eletta per restare 4 anni”. Ma sotto il 20% le tensioni arriverebbero alle stelle e a quel punto la partita delle regionali diventerebbe per Elly Schlein questione di vita o di morte politica.