La ricetta della premier

Così la Meloni risolve le presunte emergenze: più carcere per tutti

II filo conduttore dei due provvedimenti, devianza giovanile e immigrazione, è lo stesso: limitazione della libertà personale e di movimento. Un campo troppo delicato per intervenire con la decretazione d’urgenza

Politica - di Andrea Oleandri - 20 Settembre 2023

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Così la Meloni risolve le presunte emergenze: più carcere per tutti

A distanza di dieci giorni il governo interviene con due decreti legge per rispondere a due “emergenze” (le virgolette sono d’obbligo): la prima, quella della devianza giovanile; la seconda, quella dell’immigrazione. Due atti governativi differenti tra loro ma con un filo conduttore comune: la limitazione della libertà personale e di movimento. A lasciare dubbi non è solo il contenuto di questi due decreti, quanto lo strumento in sé. L’uso e l’abuso dello strumento della decretazione d’urgenza, di fatto, concentra nelle mani del governo anche buona parte del potere legislativo, esautorando un Parlamento che sempre più si sta trasformando in organo ratificante.

Come spiega Openpolis, il governo Meloni sta spingendo questa tendenza generale ancor più in avanti e, fino a oggi, riporta il valore più alto di leggi di conversione sul totale di quelle approvate, ben il 78,3%. Nel caso delle recenti norme sull’immigrazione, poi, le stesse sono state inserite in un decreto Sud, lasciando anche dubbi di costituzionalità, per la possibile mancata interconnessione dei temi, così come avvenne per la legge Fini-Giovanardi sulle droghe, inserita in un decreto per le Olimpiadi invernali di Torino e per questo dichiarata incostituzionale dalla Consulta alcuni anni dopo.

Il tema dell’utilizzo ingente dei decreti legge è tutt’altro che secondario. L’approvazione di norme ordinarie offre, infatti, la possibilità di discuterne anche a lungo laddove necessario, di analizzare tutti gli aspetti del tema su cui si vuole intervenire e le possibili modalità di intervento. I decreti, con i loro limiti di 60 giorni per la conversione in legge, non lasciano spazio a grandi discussioni. Che invece servirebbero quando si interviene in campi delicati, come quelli che riguardano la privazione delle libertà personali. Anche perché, a ben vedere, queste emergenze non sembrano sussistere.

Se guardiamo ai minori, scopriamo che quelli fermati o arrestati nel 2022, anche in assenza di dati ufficiali definitivi, sono in linea con quelli fermati o arrestati nel 2016 (circa 34.000 persone). Dunque non si intravede un’emergenza criminalità e non si intravedono numeri molto problematici rispetto al passato. Nonostante questo, la strada scelta dal governo è stata quella di un’ampia risposta penale e in alcuni casi limitativa della libertà personale e di movimento. Una strada che, peraltro, non sembra tenere in considerazione l’inefficacia degli approcci penalistici come strumenti di prevenzione dei reati.

Guardando ai migranti, invece, i numeri fino a oggi ci parlano di circa 160.000 persone arrivate in Italia da inizio anno. Sicuramente un dato più elevato di quello fatto registrare negli ultimi anni, ma in linea con quanto accadde nel 2015, quando ad arrivare via mare furono oltre 150.000 persone e ancor di più nel 2016, quando ne arrivarono 181mila. La risposta del governo, finora, è stata anche in questo caso una risposta penale e securitaria. Dapprima con il decreto legge Piantedosi, approvato all’indomani del drammatico naufragio di Cutro. Lunedì con un nuovo decreto che punta a utilizzare la detenzione amministrativa delle persone migranti come strumento di governo del complesso fenomeno migratorio, aumentando il numero dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) e il tempo di trattenimento, con l’obiettivo di aumentare anche il numero dei rimpatri.

Poco importa che la detenzione senza reato lasci profondi dubbi di carattere legale. Poco importa che si tratti di un sistema costoso, dove i privati che gestiscono i centri si sono buttati a capofitto scorgendo possibilità di grandi profitti. Poco importano le costanti denunce di violazioni di alcuni dei più basilari diritti riscontrati nel tempo. Poco importa, anche e soprattutto, che il tempo di trattenimento fino a 18 mesi sia stato in vigore fino al novembre del 2014 e il numero dei rimpatri fosse, anche allora, attorno al 50% del totale di chi per questi centri transita.

La stessa percentuale registrata con tempi di permanenza a 90 giorni prima e 180 giorni poi. Perché, e ce lo raccontano i 25 anni di storia di questi luoghi, le persone o si riescono a rimpatriare subito o non è il tempo a rappresentare un alleato verso questo obiettivo. Questi appena riportati sono solo alcuni elementi che andrebbero presi in considerazione e discussi, ma che non ci sarà tempo di approfondire in nome di un utilizzo ideologico di uno strumento legislativo, il decreto legge, che guarda molto più alla propaganda del momento che alla più complessa gestione dei fenomeni.

*Antigone

20 Settembre 2023

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