"L'Italia ripudia la guerra"
Ucraina tra eredità nascosta della guerra e iniziative diplomatiche: la grande assente è l’Unione Europea
Editoriali - di Mario Marazziti
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”. È l’articolo 11 della Costituzione Italiana. Molto forte, anche se la messa al bando della guerra va letto a letto assieme all’art. 52 che pone la difesa della patria quale “sacro dovere” e con l’art. 78 che affida al Parlamento la competenza a dichiarare lo Stato di guerra.
Il testo che era arrivato alla Costituente, inizialmente, il 31 gennaio 1947, era diverso: “L’Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa”: conteneva anche il sentire di Togliatti, che in sottocommissione voleva sottolineare come la guerra avesse “rovinato la Nazione” e la necessità di essere parte di quel movimento crescente “del mondo intero che cerca di mettere la guerra fuorilegge”. Il 24 marzo 1947 Meuccio Ruini spiegò la scelta del rafforzativo: “ripudia”: “Si tratta anzitutto di scegliere fra alcuni verbi: rinunzia, ripudia, condanna, che si affacciano nei vari emendamenti. La Commissione, ha ritenuto che, mentre «condanna» ha un valore etico più che politico-giuridico, e «rinunzia» presuppone, in certo modo, la rinunzia ad un bene, ad un diritto, il diritto della guerra (che vogliamo appunto contestare), la parola «ripudia» (…) ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinuncia alla guerra”.
In giorni, i nostri, in cui lo spazio di ragionamento pubblico sulla pace si è assottigliato come carta-velina per la polarizzazione creata dalla guerra asimmetrica sul territorio ucraino, nata dall’invasione russa, ma che ogni giorno di più inghiotte territorio, economia, persone, giovani – comunque vada – e svuota il paese e il futuro dell’Ucraina, il contributo di Andrea Riccardi e Maurizio Landini aiutati da Marco Damilano qualche giorno fa al San Gallicano di Roma sull’art.11 della Costituzione, è da non far cadere e mettere nel portafoglio necessario a immaginare il futuro.
In un tempo di assenza di immaginazione per la pace si è trattato di uno spazio in cui la politica, non quella dei partiti, secondo la definizione di Havel, come “arte dell’impossibile” ha mosso qualche passo. Intanto il realismo non come appiattimento al presente ma come capacità di andare oltre i numeri, secondo l’invito di Damilano: l’attenzione ai “corpi”, diventati invisibili. “I corpi occultati nella comunicazione”, dove rifugiati a milioni, mutilati, feriti, vittime a centinaia di migliaia non si vedono (Riccardi). Oltre le rovine degli edifici fumanti e bombardati è tornata al centro la concretezza di un intero paese in cui la vita civile si sta sfaldando e l’eredità della guerra in ordigni inesplosi (si calcolano almeno 10 mila su 320.000 caduti finora in Ucraina) ipotecherà la sicurezza della popolazione civile a lungo, con bombe a grappolo e uranio impoverito, che avvelenano e colpiscono a distanza di anni. Il danno ambientale, già oggi per l’incidenza sull’inquinamento globale e per il futuro, e l’eternizzazione della guerra in un paese che aveva rinunciato al 35 per cento delle armi nucleari sovietiche sul proprio territorio al momento dell’indipendenza sono stati il punto di partenza per andare oltre il realismo dell’escalation militare attuale.
L’”audacia della pace”, titolo dell’incontro di Berlino e dell’Appello per la pace di Papa Francesco, hanno rilanciato la necessità di iniziative diplomatiche cui manca soltanto l’Unione Europea: piano ucraino, piano turco, piano cinese – che partiva anche dall’integrità territoriale dell’Ucraina-, piano di Gedda e l’ingresso del sud del mondo a rappresentare le conseguenze esterne del conflitto, l’iniziativa vaticana che per ora è l’unica tessitura tra Mosca, Kiev, Washington e Pechino, ma ancora niente di palpabile dall’Unione Europea.
E dall’altra la constatazione che è difficile, sempre, difendere i diritti e le persone, in tempo di guerra. Di qui la necessità dell’impegno per la pace per tutelare anche noi stessi e tutti. Diritto alla salute, cura del territorio, lavoro, dignità umana di sfollati e “di chi è povero e resta povero anche con un lavoro”: “Gli incidenti sul lavoro, tre al giorno, mostrano che è un modello che non funziona, perché per tagliare i prezzi e la competitività si investe sui precari, nel sistema di appalti e subappalti, e salute e sicurezza diventano un ‘costo insostenibile’” (Landini).
Non è stato un incontro di “pacifisti”. Piuttosto un momento di elaborazione di una cultura della pace attiva e di realismo, fuori dalle necessità elettorali. Come l’art.11 della Costituzione.