Inefficaci e costosi
Cosa sono i Cpr, peggio delle galere servono solo a espellere i diritti
I dati dimostrano che il tempo di permanenza non incide sulla percentuale di rimpatri. Può incidere invece sul business nato intorno alla gestione di questi centri, dove le persone recluse sono vittime di violazioni, private di garanzie e tutele fondamentali
Politica - di Oiza Q. Obasuy
Il 18 settembre il Consiglio dei Ministri ha deliberato alcune modifiche inerenti alla gestione dell’immigrazione. In particolare, il Governo ha stabilito non solo che i tempi di trattenimento dei Centri di Permanenza per il rimpatrio (CPR) vengano aumentati a 18 mesi, ma che vengano costruite ulteriori strutture detentive in tutte le regioni, sotto stretta sorveglianza del Ministero della Difesa. Tale provvedimento, oltre che essere disumano per le persone trattenute e a non essere un “deterrente” per contrastare gli arrivi, è un regalo a chi si arricchisce sulla detenzione amministrativa e un costo per lo Stato stesso.
25 anni di detenzione amministrativa, cambiano i tempi di permanenza, ma non i risultati
Gli attuali CPR esistono dal 1998, quando furono inizialmente previsti con la Legge Turco-Napolitano. All’epoca erano chiamati Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza (CPTA). Negli anni hanno subito diversi cambiamenti di denominazione (CPT, CIE e infine CPR), ma la sostanza non è cambiata. Ad essere cambiati sono stati, nel corso di questi 25 anni, i tempi di trattenimento. Tra il 2021 e fi no al recente decreto del governo erano di 90 giorni.
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Inizialmente era previsto invece in 180 giorni e nel 2011 fu portato a 18 mesi, termine che rimase invariato fino alla fine del 2014. Se si osserva la questione da un punto di vista di semplice efficacia del sistema, in tutti questi anni, la media dei rimpatri effettuati – anche quando il trattenimento raggiungeva i 18 mesi – si è sempre aggirata a meno del 50%. Nel 2022, secondo i dati dell’ultimo rapporto del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, solo il 49,4% delle persone detenute è stato effettivamente rimpatriato (si parla, nello specifico, del rimpatrio di 3.154 persone a fronte di 6.383 persone che nel 2022 sono state detenute nei CPR).
Da questo punto di vista, come spiega il Garante, la detenzione risulta essere non solo inefficace, ma anche illegittima: infatti, in Italia la detenzione amministrativa viene utilizzata sistematicamente anche in assenza di effettivi accordi di rimpatrio e indipendentemente dalla valutazione dell’effettiva possibilità di allontanamento entro lo scadere dei termini di detenzione. Sempre in termini di efficacia e scopo per cui i CPR sono stati creati, il Garante spiega che la privazione della libertà personale può essere giustificata solo “da una percorribile ipotesi di rimpatrio”.
La nascita di un business: la privatizzazione dei CPR a discapito dei diritti
Per la gestione dei CPR attualmente presenti in Italia sono state indette negli ultimi due anni gare d’appalto per 56 milioni di euro. Un vero e proprio business, come abbiamo raccontato nel recente report “L’affare Cpr”, alle cui redini troviamo grandi multinazionali e cooperative che, nonostante le offerte al ribasso, traggono un costante profitto dalla gestione della detenzione amministrativa, a discapito dei diritti delle persone detenute.
Al febbraio 2023, risultavano attivi 10 Centri di Permanenza per i Rimpatri (Milano, Torino, Gradisca d’Isonzo, Roma, Palazzo San Gervasio, Macomer, Brindisi-Restinco, Bari-Palese, Trapani-Milo, Caltanissetta-Pian del Lago), con una capienza teorica di circa 1.105 posti. Tuttavia, nel marzo 2023, è stato chiuso il CPR di Torino (capienza 144 posti), a seguito delle proteste dei detenuti contro le condizioni di detenzione, che hanno reso del tutto inagibile la struttura. I grandi colossi che in Italia gestiscono i CPR sono le multinazionali ORS, Gepsa, Engel s.r.l e le cooperative Edeco-Ekene e Badia Grande. Dalla nascita di questa filiera remunerativa emergono due tendenze: da un lato, la ricerca della massimizzazione del profitto da parte delle imprese che gestiscono i Centri; dall’altro una continua spinta alla minimizzazione dei costi da parte dello Stato, con una deresponsabilizzazione di quest’ultimo rispetto alla gestione delle strutture.
La conseguenza di queste due tendenze porta inevitabilmente alla creazione di offerte al ribasso che riducono al minimo il costo del personale e le varie voci di spesa (lavanderia; pulizia; farmaci; oneri della sicurezza). Inoltre, uno degli aspetti più controversi è dato dal fatto che l’ente gestore è retribuito non in base alla capienza teorica, ma a quella effettiva: ciò significa che il guadagno è direttamente proporzionato al numero di persone detenute. Ci troviamo di fronte a una pericolosa tendenza, che con la detenzione fino a 18 mesi può trovare ulteriore linfa.
Per quanto riguarda i diritti e le garanzie mancate, è necessario partire da un presupposto: i CPR sono delle vere e proprie carceri con l’unica differenza che si tratta di fatto di una detenzione senza reato, in cui le persone straniere vengono rinchiuse poiché prive di un permesso di soggiorno la cui vita interna e l’esercizio dei diritti è regolato esclusivamente da un mero regolamento ministeriale che lascia ampio margine discrezionale alle autorità amministrative.
Di conseguenza, è possibile affermare che la tutela nei CPR è nettamente inferiore a quella prevista dall’ordinamento italiano sul sistema detentivo effettivo. Questo comporta il fatto che numerose siano le violazioni riscontrate negli anni, in particolare per la tutela del diritto alla salute, alla comunicazione con l’esterno, all’assistenza legale e all’informazione normativa, nonché denunce di abusi da parte delle forze dell’ordine.
La proposta del Governo Meloni, da questo punto di vista, oltre a non fungere affatto da deterrente per contrastare i flussi migratori, rappresenta solo il prosieguo di anni di politiche repressive, vessatorie e discriminatorie nei confronti delle persone straniere in Italia. Politiche che, nel caso della detenzione amministrativa, si sono rivelate peraltro costose e inefficaci. Per questo sarebbe necessario superare definitivamente questo sistema, puntando, invece, su alternative all’irregolarità.
*Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili (CILD)