Storia del PCI
Chi erano i comunisti “miglioristi”: la corrente da Amendola a Napolitano e lo scontro con Berlinguer
Il dibattito all'interno del più grande Partito Comunista del mondo occidentale. Napolitano riconobbe che quella definizione aveva una connotazione spregiativa, “anche se a ben pensarci poi tante volte come PCI avevamo detto di voler lottare per un'Italia migliore”
Politica - di Redazione Web
Giorgio Napolitano ammise che essere definiti “miglioristi” non era certo un complimento, all’interno del Partito Comunista. Erano tempi di grande dibattito, di accesa dialettica all’interno del più grande Partito Comunista nel mondo occidentale. L’ex Presidente della Repubblica, morto lo scorso venerdì 22 settembre, era stato tra i più autorevoli esponenti della corrente. Il migliorismo fu un orientamento politico che si sviluppò tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80 all’interno del PCI e della sinistra in generale che contemplava la possibilità di migliorare il sistema e la società non con la rivoluzione quanto a partire e “operando all’interno delle sue stesse strutture e accettandone in parte i metodi” si legge sulla Treccani.
Fin dalla sua nascita il 21 gennaio del 1921 a Livorno, il Partito Comunista Italiano era animato da diverse correnti e orientamenti che emersero soprattutto dopo l’invasione dell’Ungheria delle truppe sovietiche, dopo il rapporto del leader sovietico Nikita Kruscev sui crimini di Stalin al XX Congresso del PCUS del 1956 e dopo la morte del segretario Palmiro Togliatti. Il dibattito all’interno del Partito si focalizzava sui rapporti con Mosca e sulla relazione da intrattenere con la società capitalista.
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Napolitano era delfino di Giorgio Amendola, il principale esponente della corrente definita riformista, che non coltivava l’idea della rivoluzione quanto più quella di riforme graduali di stampo socialista. Pietro Ingrao invece guidava la corrente che sosteneva un’unione con le organizzazioni di lotta nate nelle fabbriche e con i movimenti nati durante le proteste del ’68. Lo scontro esplose all’XI Congresso del Partito, nel 1966, due anni dopo la morte di Togliatti. A prevalere furono le idee della fazione di Amendola. Quando quest’ultimo morì, nel 1980, Napolitano divenne leader della corrente.
Che con il passare degli anni venne definita “di destra”, all’interno del partito: che puntava a una partecipazione attiva al governo del Paese e a una collaborazione fitta con i partiti moderati piuttosto che alla rivoluzione o allo scontro con il mondo capitalista. “Fummo etichettati – spiegò Napolitano anni dopo in un’intervista – come ‘miglioristi’ e quella etichettatura era polemica e perfino spregiativa, anche se a ben pensarci poi tante volte come PCI avevamo detto di voler lottare per un’Italia migliore”. Dopo una stretta collaborazione dal 1976 al 1979 con Enrico Berlinguer, Napolitano guidò l’opposizione interna più forte al segretario comunista.
E infatti dalle pagine dell’Unità del 21 agosto 1981, Napolitano scrisse un duro articolo contro la “questione morale” lanciata da Berlinguer in un’intervista a Eugenio Scalfari. “’Saper scendere e muoversi sul terreno riformistico’ anziché pretendere di combattere il riformismo con ‘pure contrapposizioni verbali’ o ‘vuote invettive’”. Napolitano poche settimane dopo lasciò l’organizzazione del partito e divenne capogruppo dei deputati comunisti.
“Con Formica, capogruppo dei socialisti, aveva trovato un’intesa per rendere il testo accettabile anche per i comunisti – ha ricordato un altro comunista migliorista, Emanuele Macaluso, su Il Riformista nel 2005 – Intesa che poi venne mandata all’aria da entrambe le parti. Ma in quel momento Berlinguer comincia a vedere di cattivo occhio sia Napolitano sia Nilde Iotti, allora presidente della Camera. A Nilde Iotti sembra rimproverare di tutelare più il governo che il suo partito, mentre su Napolitano pesa il sospetto di morbidezza per via della sua nota contrarietà alla linea scelta in quella fase dal Pci, durante la dura battaglia parlamentare che precedette il referendum. Da lì in avanti i rapporti si inasprirono a tal punto che quando Berlinguer morì Napolitano aveva già in tasca la lettera di dimissioni da capogruppo. Una lettera mai recapitata, in quel funesto 7 giugno 1984”. Dopo la svolta della Bolognina del novembre 1989 e lo scioglimento del Partito Comunista Italiano nel febbraio 1991, Napolitano si distaccò sempre più dalle attività di partito.