Parla la già parlamentare dem
Intervista a Enza Bruno Bossio: “I Cpr vanno chiusi, ecco perché”
«Alle proposte del Pd vorrei che si aggiungesse l’esplicita richiesta di chiudere tutti i Cpr. Non è un tema solo umanitario, ma di stato di diritto. “La libertà personale è inviolabile”: lo dice la Costituzione»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Il securitarismo che si fa pizzo di Stato per i migranti che non vogliono essere segregati nei Cpr. L’Unità ne discute con Enza Bruno Bossio, già parlamentare Dem, membro della Direzione nazionale del Partito democratico, impegnata da sempre nella battaglia per una giustizia giusta.
Dieci, cento, mille Cpr. Il securitarismo del governo Meloni non sembra conoscere limiti.
Innanzitutto una premessa: non si può fermare il vento con le mani. Come insegna lo struggente film di Garrone, le migrazioni non si possono fermare: fanno da sempre parte della storia dell’umanità. Le persone migrano da un luogo all’altro spinte da ragioni e motivi diversi, anche quando la loro mobilità è segnata da tempi o da norme più o meno restrittive. Norme che possono condizionare le migrazioni molto poco e per breve tempo, com’è accaduto negli anni tra il 2017 e il 2020, anche a causa, ahimè, dei trattenimenti “autorizzati” nei lager libici.
Se i movimenti migratori non si possono arrestare, perché determinati da bisogni insopprimibili, abbiamo il dovere di accompagnare il loro transito con meno morti e meno sofferenze possibili, anche per le popolazioni che accolgono. La pressione su singoli territori, come nel caso di Lampedusa, è conseguenza certamente dell’incapacità di riconoscere il fenomeno migratorio come strutturale e non emergenziale, ma è causata anche dal contrasto del Governo al lavoro delle Ong che salvando i migranti in mare, evitano morti e impediscono l’approdo ai barchini di fortuna orientati verso il luogo più vicino. Dentro questo scenario complesso ed epocale la linea della destra è chiara nella sua confusione. Dopo il fallimento dei blocchi navali e dei memorandum, oggi il Governo prova a gettare fumo negli occhi ai suoi elettori, ai quali aveva promesso la riduzione degli sbarchi, con la proposta impraticabile e tragica dell’incremento del numero dei Centri di permanenza per rimpatri (Cpr). Ma è proprio un esponente del centrodestra, il presidente del Veneto, Zaia, a scoprire il bluff, quando afferma: “ll Cpr non risolve il problema degli arrivi, questo lo dobbiamo dire per essere corretti nei confronti dei cittadini, visto e considerato che quest’anno avremo più o meno 140-150mila persone che dovranno essere rimpatriate, e si consideri che mediamente ogni anno l’Italia riesce a far rimpatriare dalle 3.500 alle 4.000 persone, quando va bene”.
Se ne parla tanto, in questi giorni, ma cos’è concretamente un Cpr?
E’ un luogo di detenzione dove si è privati della libertà senza aver commesso alcun reato, tranne quello di essere sbarcati in una terra dove vige una legge, la Bossi Fini, che fa di tutti quelli che poggiano il piede sul suolo italiano, dei clandestini. Dunque non dei criminali come afferma, con ignoranza dolosa, il ministro Salvini, ma semplicemente degli esseri umani che hanno rischiato la vita per arrivare fin qui. E’ lo stesso Stato, che, negando il permesso di soggiorno, li rende colpevoli del reato di clandestinità, per poterli rinchiudere per 18 mesi in queste carceri. Un sadismo di Stato che viene aggravato da un recente decreto ministeriale che consente, ai richiedenti asilo, la possibilità di versare una garanzia finanziaria per evitare la detenzione nei centri. Una scelta che di fatto mette lo Stato sullo stesso piano dei trafficanti contro cui la Meloni dice di voler combattere. Ovvero un essere umano scappa dal suo Paese, subisce torture, maltrattamenti, si mette nelle mani di un trafficante, lo paga e dopo mesi di viaggio, di fame, di stenti, attraversa il Mediterraneo. E quando arriva che trova? Uno Stato “trafficante” che chiede la tangente di 5000 euro per evitare la reclusione. E guarda caso questa norma, che sembrerebbe una bufala, era stata già emanata qualche anno fa dall’amico della Meloni, quell’Orban, presidente dell’Ungheria, che ha sempre impedito la modifica del trattato di Dublino.
Dal decreto Cutro, alla guerra alle Ong. Dal blocco navale allo smantellamento dell’accoglienza diffusa. Il tutto “condito” da “Piani Mattei” per l’Africa e memorandum sbandierati come modello. La linea della destra è chiara. E quella delle opposizioni, del Pd?
Se partiamo dall’assunto, storicamente indiscutibile, che non possiamo fermare chi parte, ma solo migliorare il suo transito, è evidente che la prima azione necessaria perché chi sbarca in Italia non sia clandestino è quella di modificare, o meglio, abolire, la Bossi-Fini. Questo obiettivo è posto come prioritario nel documento approvato dalla segreteria nazionale del Pd nei giorni scorsi. Le altre azioni necessarie e tempestive, come ha dichiarato il responsabile delle Politiche migratorie del Partito Democratico, Pierfrancesco Majorino, sono: le modifiche del trattato di Dublino, la creazione di canali legali di accesso, la programmazione e l’attuazione, di concerto con i sindaci e le amministrazioni comunali, di “un grande piano per l’accoglienza diffusa, al fine di evitare grandi concentrazioni di persone accolte in poche singole strutture e in poche città e con l’obiettivo di riaffermare, anche attraverso il coinvolgimento del Terzo Settore, un sistema di accoglienza di qualità”. Quello che vorrei fosse aggiunto a questa proposta è l’esplicita richiesta di chiudere tutti i Cpr esistenti e di non costruirne nuovi.
L’altro da sé visto e descritto come una minaccia e mai come un valore umano e sociale. Una minaccia da espellere, ricacciare indietro, o detenere nei Cpr. Molti presidenti di Regione, hanno manifestato la loro contrarietà facendo leva soprattutto sul concetto di impraticabilità. Ma basta questo o c’è anche una battaglia culturale da condurre?
Comprendere quello che ripete sempre Papa Francesco, ovvero che le migrazioni non sono invasioni ma richiesta di accoglienza, richiede una consapevolezza collettiva che può essere raggiunta solo con una battaglia culturale quotidiana contro gli egoismi occidentali. Che soprattutto la sinistra ha il dovere di portare avanti. Altrimenti senza questa consapevolezza, mostriamo i limiti avuti in questi anni della mancanza di una visione strategica per il cambiamento o peggio ancora rischiamo di essere subalterni ad una idea securitaria e di destra, come ha fatto il Pd nel 2017 e come fa oggi Conte quando parla di “accoglienza indiscriminata”. Battaglia culturale è capire che non c’è più un primato dell’Occidente, non solo nei modelli di produzione e di consumo, ma anche nel futuro stesso dell’umanità. Nel 2022 l’età media della popolazione dell’UE è di 44,4 anni e l’Italia è il paese più vecchio d’Europa, con età media di 48 anni. Di contro, in Africa l’età media della popolazione, non supera i 18 anni. Nessuno può invertire questa tendenza ma si può imparare a governarla lasciando a tutti, soprattutto i giovani, la libertà di muoversi nel mondo.
Il no alla moltiplicazione dei Cpr, in sé e per le modalità indicate dal Governo, non dovrebbe rientrare in una battaglia più generale per una giustizia giusta, tema a lei molto caro?
Art.13 della Costituzione: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale.” Questo tema si era già posto nel momento in cui sono stati istituiti i Cpr con l’approvazione del decreto/legge 13 del 2017. Motivo per cui, in parlamento, in dissenso con il gruppo del Pd, non votai la sua conversione in legge e presentai degli emendamenti per l’abolizione dei Cpr e, in seconda istanza, per modificare le finalità di quelle strutture, dove vengono sottoposti ad un regime di privazione della libertà personale, individui che hanno come unica colpa quella di aver violato una disposizione amministrativa. Per questo il tema dei Cpr non può essere considerato solo umanitario, ma riguarda il rispetto di un principio basilare e universale dello stato di diritto.
La sua regione, la Calabria, è stata segnata da una delle più drammatiche stragi in mare. Subito dopo la tragedia di Cutro si manifestò un moto di solidarietà dal basso verso i sopravvissuti. Cosa è rimasto?
Innanzitutto non possiamo dimenticare che il naufragio di Cutro, ha mostrato sin dal primo momento come le ricostruzioni fornite dalle autorità italiane e da Frontex non combaciassero: qualcuno non ha raccontato la verità. La evidente responsabilità del governo è stato un primo scivolone della Meloni e delle sue “arti magiche” di far apparire coerente la sua azione di governo con le sue promesse elettorali. Queste responsabilità hanno provato a nasconderle con la demagogica conferenza stampa al municipio di Cutro e con l’approvazione del decreto omonimo che andava esattamente nella direzione che oggi stiamo registrando, ovvero rendere ancora più illegale e illegittimo quello che accade con gli sbarchi. La forte mobilitazione che c’è stata in quei giorni e la gara di solidarietà della popolazione calabrese e crotonese, non sono però scomparse: da qui è nato un movimento che ancora oggi è presente sul territorio, la Rete 26 febbraio. Ed è da queste presenze che dobbiamo partire, dalle buone pratiche dei comuni accoglienti, per fare nostro fino in fondo il messaggio di Papa Francesco per 109°Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato: “Ovunque decidiamo di costruire il nostro futuro, nel Paese dove siamo nati o altrove, l’importante è che lì ci sia sempre una comunità pronta ad accogliere, proteggere, promuovere e integrare tutti, senza distinzione e senza lasciare fuori nessuno”.