La Nadef in Cdm
Pil a picco, il governo Meloni certifica la resa con la Nadef
In buona parte in seguito alla ricaduta del Superbonus sull’anno in corso l’indebitamento di quest’anno passerà dal previsto aumento fissato al 4,5% a un aumento tra il 5 e il 6%.
Politica - di David Romoli
Stime al ribasso, come era previsto e come era inevitabile dopo la gelata dei dati del secondo trimestre che registravano una flessione della crescita. La Nadef varata ieri dal governo, e che sarà in aula alla Camera l’11 ottobre, fissa allo 0,8% il Pil di quest’anno, con due decimali in meno rispetto a quello fissato in primavera. Più robusto l’arretramento nelle previsioni per il 2024, dall’1,4% all’1%.
La buona notizia, del resto attesa, era arrivata in mattinata, qualche ora prima che il governo si riunisse. Eurostat ha confermato che i crediti fiscali derivati dal Superbonus devono essere ascritti al bilancio dell’anno in cui sono stati generati, cioè del 2023. La differenza è palese e molto rilevante: quest’anno il patto di stabilità è ancora sospeso, i bonus incideranno dunque su un deficit non obbligato a rispettare il tetto fissato dai parametri che è e resterà anche in caso di riforma del patto pari al 3% nel rapporto deficit/Pil. La caramella è dolce ma con un fondo amaro. In base alla stessa regola i crediti generati l’anno prossimo, che ci saranno nonostante la modifica drastica del bonus voluto dal governo Conte 2, impatteranno invece nel deficit 2024, con i parametri di nuovo in vigore.
In buona parte proprio in seguito alla ricaduta del Superbonus sull’anno in corso l’indebitamento di quest’anno passerà dal previsto aumento fissato al 4,5% a un aumento tra il 5 e il 6%. Tutti questi conti, pur fondamentali, lasciavano però irrisolta la questione fondamentale: dove trovare i soldi per gli interventi che verranno messi nero su bianco dalla legge di bilancio che l’Italia presenterà il 15 ottobre a Bruxelles per la necessaria e preventiva approvazione europea. Certo, le misure in questione saranno misere.
Non ci saranno neppure mattoncini piccoli piccoli per i grandi interventi promessi dalla destra: dalle pensioni alla Flat Tax. Però anche a tenere strettissimi i cordoni della borsa, le coperture non bastano neppure per l’essenziale e per l’irrinunciabile. Il governo prevede un introito intorno ai 2 mld dalla tassa sugli extraprofitti bancari. E’ un calcolo alla cieca: la norma di fatto imposta dalla Bce, e in Italia da Tajani, per cui alle banche verrà lasciata la possibilità di evitare il prelievo in cambio di un rifinanziamento pari a quattro volte il prelievo stesso rende impossibile prevedere quale sarà l’introito. Molti istituti, infatti, preferiranno rifinanzarsi, mantenendo in cassa i soldi, piuttosto che darli allo Stato. Una nuova gara per la gestione del Lotto potrebbe fruttare 800 mln.
Dal fisco, grazie ai concordati preventivi, potrebbe uscire un altro mld. Sulla Spending Review dei ministeri non c’è da contare troppo: alcune centiania di milioni, intorno ai 300, nella migliore delle ipotesi. In ballo restano quindi la proposta della Lega, un minicondono edilizio che però di solito finisce per costare più che per pagare, e l’ondata di privatizzazioni che, con la nobile scusa di alzare le pensioni minime da 600 a 700 euro, è il chiodo fisso di Tajani e di Fi. Non basterebbe neppure questo per trovare quella decina e passa di mld che mancano all’appello. L’unica dunque è riccorere al deficit: dal 3,7% nel programmatico concordato con la Ue al 4,3%. Sempre che l’Europa stessa sia d’accordo.