La rubrica
È una catastrofe la dittatura del profitto, ma un modello alternativo di società già esiste
La nuova rubrica Sottosopra: l’attuale mondo rovesciato e la necessità, urgente e inderogabile, di (ri)mettere le cose dritte sui piedi
Editoriali - di Mario Capanna
Il problema è che molto di ciò che viene chiamato economia non è economia. E’ più ideologia o religione.
(J. Stiglitz)
La propaganda del capitalismo è oggi assordante. Sembra dire: “Non avrai altro dio fuori di me”. Ad esso “non c’è alternativa”, come sentenziò Margaret Thatcher. Il profitto è la sua essenza. Marx l’ha spiegato bene, e la realtà del mondo ce ne dà drammatica conferma.
È per il profitto di pochi che si tengono miliardi di uomini nell’indigenza, si dilapidano le risorse della Terra fino ad avere provocato i mutamenti climatici, si producono nuove armi sempre più sofisticate e letali, e si fanno le guerre. La dittatura del profitto sta soggiogando l’umanità.
Dati di fonte Onu: la differenza di reddito fra il quinto degli individui più ricchi del mondo e il quinto di quelli più poveri era di 3 a 1 nel 1820; nel 1913 saliva a 11 a 1; in meno di 50 anni, nel 1960, triplicava a 30 a 1; in appena trent’anni, nel 1990, raddoppiava a 60 a 1; in un solo decennio, nel 2001, in piena globalizzazione, balzava a 80 a 1. Oggi siamo alla società dell’1 per cento: l’1 per cento dell’umanità possiede ricchezze e beni che superano quelli del 99 per cento (!).
Se non vogliamo andare avanti così, verso la catastrofe, l’alternativa c’è, ed è già operante. Le produzioni e i commerci equi e solidali si basano sul criterio dell’onesto guadagno, il contrario del profitto e del suo sfruttamento. Si sa come funziona la cosa: si dà vita, per esempio, a una cooperativa, per produrre e vendere, poniamo, caffè: sia i produttori sia i trasportatori sia i venditori percepiscono un compenso, appunto, equo e solidale, e la miscela, prodotta nel rispetto dell’ambiente, è di solito migliore di quella spacciata dalla multinazionale di turno. Il giusto compenso non sfrutta nessuno e remunera i soggetti della filiera con equità condivisa. Il dato rilevante è che già oggi le reti eque e solidali, insieme alla miriade delle organizzazioni no-profit, costituiscono nel mondo non solo una realtà culturale, ma anche sociale ed economica notevole. La loro crescita è tra il 5 e il 10 per cento l’anno.
E’ la prova che per realizzare un modello economico alternativo, diverso tanto dal capitalismo predatore quanto dal cosiddetto “socialismo reale” (una variante di capitalismo di Stato), la strada è già aperta. La difficoltà vera non è data dal modello nuovo, ma dalla mancanza di volontà politica di abbandonare quello vecchio – così comodo per i dominatori della Terra – praticando l’alternativa. Occorre quella rivoluzione di pensiero necessaria per non pregiudicare il futuro umano. E questo chiama in causa ognuno di noi.