Tra Roma e Berlino è vera crisi? E qual è la posta in gioco? L’Unità ne discute con Angelo Bolaffi. Filosofo della politica e germanista, dal 2007 al 2011 è stato direttore dell’Istituto di cultura italiana a Berlino. È membro della Grüne Akademie della Böll Stiftung di Berlino e del direttivo di Villa Vigoni “Centro italo-tedesco per l’eccellenza europea”.
“Non si fa solidarietà sui confini degli altri”, ha tuonato Giorgia Meloni rilanciando le accuse al governo tedesco del cancelliere Olaf Scholz, colpevole, agli occhi della premier italiana di voler salvare vite umane in mare anche finanziando alcune Ong. E a rincarare la dose c’è il ministro della Difesa, Crosetto, che ha dichiarato una guerra verbale alla Germania. Cosa c’è dietro questo scontro al calor bianco tra Roma e Berlino?
C’è la campagna elettorale per le europee. Vediamo anzitutto i temi del contendere. L’Italia è il Paese oggettivamente più esposto all’immigrazione illegale che, nonostante l’accordo con la Tunisia, continua a provenire dall’Africa subsahariana. E la Germania, dal canto suo, è il Paese che accoglie più immigrati. Questo è il grande paradosso. Da una parte l’Italia ha un problema di arrivi, dall’altro la Germania ha il problema di sistemazione. Invece di mettersi d’accordo su come risolvere questi due problemi, che sono apparentemente contraddittori ma in realtà sono uno la causa dell’altro, l’Italia e la Germania litigano. Bisogna aggiungere che per la prima volta in Italia c’è un governo di destra-destra, il più a destra nell’Europa delle democrazie liberali, ma che è pressato al suo interno da una forza politica, la Lega di Salvini, che sui migranti vorrebbe spostare l’asse governativo ancora più a destra. Così facendo, Salvini sembra mettere sotto scacco la presidente del Consiglio e leader assoluta di Fratelli d’Italia. E la Meloni reagisce sul terreno scelto da Salvini, alimentando una narrazione demonizzante, iper securitaria. E questo per non lasciare alla Lega un pezzo di elettorato che Meloni aveva accarezzato promettendo blocchi navali, tolleranza zero verso l’immigrazione illegale, con tutto ciò che questo comporta anche in ambito europeo. La presidente del Consiglio ha il cuore che batte ad Est, al Gruppo di Visegrad, e non a Berlino. In questa rincorsa a chi è più, narrativamente più che nella sostanza politica, è più duro, intransigente, Meloni deve dare all’elettorato una immagine falsa.
Perché falsa, professor Bolaffi?
Bloccare le Ong, significa bloccare neanche il 5% degli arrivi. Però sembrerebbe andare nella direzione del blocco navale rilanciato da Salvini. Meloni ha un problema di coprirsi a destra e quindi alza la voce.
E in Germania come stanno le cose?
Per la prima volta c’è una doppia concorrenza di populismo. C’è l’Alternative für Deutschland (AfD), di estrema destra, che batte ossessivamente sull’immigrazione, che è il grande tema che le porta voti. I dati sono chiari. Senza il problema dell’immigrazione, l’Alternative für Deutschland scompare. Ma qualcosa del genere si sta muovendo anche a sinistra. Siamo di fronte ad una sorta di doppio populismo. La dissoluzione della Linke, partito di sinistra tradizionale, a favore di una sorta di populismo di sinistra incarnato da Sara Wagenknecht, la moglie di Oskar Lafontaine. Una esponente molto televisiva, molto capace, molto glamour, che mette insieme una sorta di nazi-bolscevismo. Sul sociale è di sinistra, sull’identità è di destra. E questo mette molto in difficoltà una parte della vecchia Linke ma potrebbe addirittura suonare come richiamo per settori dell’elettorato della Spd. A questo, per peggiorare le cose, aggiungiamo che i Verdi, accanto alla tematica ambientalista, hanno come altra questione prioritaria nella loro agenda politico-elettorale, quella dell’immigrazione, letta da tutt’altro punto di vista, cioè dal punto di vista umanitario e del diritto d’asilo. Per cui, non sembrano intenzionati a mollare minimamente l’appoggio che tutto il Bundestag tedesco dava, attraverso il finanziamento, ad alcune Ong che provvedevano al soccorso in mare, anche per realizzare quello che indica la Costituzione tedesca dopo la tragedia del nazionalsocialismo. Ognuno degli attori politici ha difficoltà a trovare un accordo perché ha problemi di elettorato. Si tenga presente che la Germania non ha solo le elezioni europee del 2024, poi ci saranno soprattutto elezioni in tre regioni a Est, nella ex Ddr tanto per intenderci, dove potrebbe essere che l’AfD faccia il pieno. E questo aprirebbe uno scenario molto complicato se non addirittura orrendo per la Germania. In questo scenario alquanto perturbato, manca poi un leader di riferimento europeo capace di dire: signori mettiamoci attorno ad un tavolo e discutiamo. Ma essendo, chi più e chi meno, tutti leader mediocri, ognuno cerca di salvarsi come può. Adesso Scholz ha fatto un passo in avanti, cercando di far saltare l’opposizione dei Verdi che erano per un’apertura indiscriminata, però sulla questione delle Ong il cancelliere ha un grosso problema, perché il finanziamento è stato approvato da tutto il Bundestag. Il che rende tutto molto più complicato.
Siamo ad un anno dalla nascita del governo Meloni. Un tempo sufficiente per inquadrare il tipo di relazioni che la premier e i suoi ministri hanno avuto con la Germania.
Meloni si è accorta che era una stupidaggine quella che andavano dicendo i commentatori italiani, cioè che Weber, esponente di primo piano dei Popolari, era pronto a dar vita ad una maggioranza tra Ppe e la destra, contro socialdemocratici e Verdi. Non conoscendo, o facendo finta di non conoscere, come funziona il meccanismo a Bruxelles e soprattutto non conoscendo come funzionano i tedeschi. Come è pensabile che avrebbero votato contro la von der Layen che è una esponente tedesca! Meloni ha capito abbastanza rapidamente che quella via lì non era percorribile e quindi occorreva trovare un modus vivendi o addirittura un’apertura di fiducia da parte della von der Layen e della Commissione europea e di Bruxelles. E in questa direzione ha cercato di muoversi. Ma sotto la spinta di Salvini e l’oggettiva debolezza de governo italiano, quando le cose si fanno complicate, in Italia c’è sempre una soluzione di comodo, che non l’ha inventata la Meloni, prima di lei c’era stato Berlusconi.
Di cosa tratta?
Indicare un nemico. E chi odiamo noi fin dai tempi di Lutero? I tedeschi. Pure Tacito odiava i germanici. Una volta i cattivi tedeschi ci vogliono imporre l’austerità, un’altra volta i migranti… C’è sempre questo bau bau che viene facile evocare, dirottando l’attenzione dell’opinione pubblica dalle difficoltà oggettive che il governo c’ha e che non sembra capace di portare a soluzione. Questo è il dato reale.
C’è una strutturale difficoltà, nonostante la Germania e l’Italia siano legate da interessi economici fortissimi, da una economia interdipendente, tanto è vero che se la Germania va in difficoltà una parte importante della filiera produttiva italiana va in difficoltà, nonostante ci sia un passaggio continuo di ricchezza tra i due Paesi, nonostante ci siano modelli simili, come le piccole e medie industrie, nonostante tutto questo, dal punto di vista politico e culturale tedeschi e italiani non si capiscono, e salvo momenti rari, alti, non riescono a trovare un punto di incontro e di dialogo, nonostante lo sforzo benemerito dei presidenti della Repubblica, Mattarella e Steinmeier che provano a dare una immagine di vicinanza. Ma non sono loro, purtroppo, a stabilire i tempi della politica. Vuole un esempio tangibile di queste difficoltà?
Assolutamente sì.
Il Goethe-Institut, struttura culturale tedesca di rilevantissima importanza, che ha in tutti i Paese del mondo una propria rappresentanza, con importanti finanziamenti pubblici messi in atto dopo la seconda guerra mondiale per rilanciare l’immagine della Germania e della lingua tedesca, il Goethe-Insitut, nei giorni scorsi, nell’annuale revisione della propria strategia, revisione collegata ad una direttiva del ministero degli Esteri, ha deciso di chiudere tre sedi in Italia: Genova, Torino e Trieste. Il che significa che l’interesse del ministero degli Esteri tedesco si sposta , da un lato, verso l’Europa orientale, la Polonia in primis, e per l’altro si muove lontano dall’Europa, tant’è che spinge sull’indopacifico e l’America centrale. L’asse geopolitico si sposta e i reciprochi calci agli stinchi tra Roma e Berlino non agevolano le cose.
Professor Bolaffi, la Germania si sente ancora orfana della cancelliera Merkel?
No. Dopo la guerra in Ucraina, la critica alla Merkel è un dato acquisito. Sul rapporto con Putin ha fatto errori enormi, senza peraltro riflettere autocriticamente su questo. A differenza dell’attuale presidente della Repubblica, Steinmeier, che era ministro degli Esteri della Merkel e che con lei è stato responsabile dell’aver accettato l’occupazione russa della Crimea e aver trattato gli accordi di Minsk 1 e 2, e che su questo ha fatto un aperta, coraggiosa autocritica, ammettendo di non aver tenuto in conto quanto da tempo denunciavano i polacchi, i Paesi baltici etc, sulle mire imperiali di Vladimir Putin, Angela Merkel ha mantenuto il punto, affermando, cito testualmente, “che non è vero che una politica che non raggiunge il proprio obiettivo sia sbagliata”. Il problema è che la Germania è retta da un governo di coalizione molto debole e diviso. I Verdi che oscillano tra la difesa della propria identità e un ruolo governativo, e quindi mettono continuamente in difficoltà l’esecutivo. Una opposizione inesistente, perché la Cdu è divisa tra chi ritiene possibile dialogare con l’AfD e chi non vuole spingersi a tanto, e allora non resta che riprovare un governo di coalizione. Ma lo scontro tra queste due visioni politiche paralizza la Cdu. C’è una Spd molto debole. Per la prima volta nella storia della Germania, il partito che ha un proprio esponente, Scholz, alla cancelleria, nell’ultima rilevazione dell’opinione pubblica, dei tre partiti di governo risulta al terzo posto. Chi agita le piazze, accreditandosi come unica opposizione, è l’AfD, facendo leva su due temi: l’immigrazione e come affrontare la transizione ecologica, che comporta molti costi soprattutto per i settori non urbanizzati, metropolitani, della società tedesca. E questo riguarda in particolare le regioni meno sviluppate dal punto di vista industriale, quelle della ex Ddr, che hanno meno concentrazioni urbane e più diffusione sul territorio di comuni molto piccoli. Mi lasci aggiungere, in conclusione, che quelli che da noi in Italia si rallegrano del fatto che anche i tedeschi non se la passano bene, in una specie di Schadenfreude, gioia maligna, devono stare molto attenti. Noi dovremmo augurarci che l’economia tedesca torni a tirare, perché è nel nostro interesse. Oggi la Germania, con la guerra, la crisi energetica, si trova davanti alla necessità di un rinnovamento radicale del proprio modello economico. Certo è che ci vorrebbe un governo molto forte per sostenere questa sfida epocale. In Germania. Come in Italia.