Il caso
Perché Salvatore Baiardo va arrestato: è lo scalpo della caccia a Berlusconi
Per Baiardo sono stati decisi gli arresti domiciliari che diventeranno effettivi solo in caso di conferma dalla Cassazione sul ricorso della difesa.
Giustizia - di Frank Cimini
Il giudice per le indagini preliminari aveva detto un no secco alla richiesta di arrestare Salvatore Baiardo ma i pm Luca Turco e Luca Tescaroli hanno insistito e con una dedizione degna di miglior causa hanno ottenuto il contentino dal Tribunale del Riesame. Per Baiardo sono stati decisi gli arresti domiciliari che diventeranno effettivi solo in caso di conferma dalla Cassazione sul ricorso della difesa.
Il provvedimento restrittivo però fa riferimento esclusivamente alla calunnia aggravata dell’ex conduttore di Non è l’arena su La7 Massimo Giletti al quale sarebbe stata mostrata una foto sul lago d’Orta che ritraeva Silvio Berlusconi, il boss Giuseppe Graviano e il generale Delfino. L’arresto non è stato concesso per il presunto favoreggiamento di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri indagati da tempo come mandanti delle stragi di mafia, ipotesi già spazzata via un paio di volte dalla magistratura siciliana. Il fatto che gli arresti arrivino solo per il reato meno grave rende l’intera vicenda ancora più inquietante.
La procura di Firenze per non rassegnarsi a chiedere l’archiviazione per Dell’Utri essendo Berlusconi deceduto il 12 giugno scorso le sta provando tutte. Ha risentito come testimone Urbano Cairo editore di La7 che avrebbe chiuso la trasmissione di Giletti proprio in relazione alla storia di quella fantomatica fotografia che Baiardo avrebbe mostrato a Giletti per poi smentire e accusare il giornalista e conduttore di aver detto il falso. Di qui l’accusa di calunnia che tiene in piedi un impianto accusatorio molto fragile che dovrebbe essere utile nelle speranza dei pm di riuscire a processare Silvio Berlusconi anche da morto.
Intendiamoci. qui non si tratta di toghe rosse – espressione che Berlusconi usava per rivolgersi in modo semplicistico al suo elettorato – ma di magistrati che diventano militanti del loro processo costi quello che costi. Si sta ripetendo la storia dei pm di Milano che hanno impugnato in Cassazione la sentenza di assoluzione del processo Rubyter nonostante il capo della procura Marcello Viola non avesse condiviso l’iniziativa limitandosi a vistare e non firmare la richiesta alla Suprema Corte.
Pur di rimettere di fatto in ballo l’imputato principale i magistrati dell’accusa passano oltre l’evidente violazione del diritto di difesa delle ragazze frequentatrici di Arcore avrebbero dovuto essere sentite come indagate alla presenza dell’avvocato e non certo come testimoni. Era la procura del capo Edmondo Bruti Liberati e della pm Ilda Boccassini in un’inchiesta in cui l’accusa ha portato a casa zero risultati.