Il 3 ottobre di dieci anni fa Lampedusa fu teatro di una strage orribile di esseri umani, donne, uomini e bambini migranti, a 800 metri dalle sue rive. Annegarono lì, davanti a tutti, anche ai mezzi militari che inspiegabilmente non uscirono per impedire quel disastro. Quel “mostrarci la morte”, messa davanti ai nostri occhi perché potessimo vederla bene, come su un palcoscenico, ha fatto assumere a quella strage, che non era la prima e purtroppo men che meno l’ultima, il carattere di simbolo profetico. Quello sarebbe stato il Mediterraneo da lì in avanti, ridotto a dover essere una delle più grandi fosse comuni del pianeta.
Nel parlare di fossa comune riecheggia il tema della guerra. E forse è giusto introdurre questa categoria nel dramma dei migranti e dei profughi del Mediterraneo. Da quel 3 ottobre la guerra che i governi e l’intera Europa hanno fatto “ai poveri che si muovono”, è diventata sempre più spietata. Lo “stato di eccezione”, e cioè l’introduzione di leggi speciali per colpire non i trafficanti di esseri umani, ma la povera gente che è costretta ad affidarvisi perché non vi sono modi legali efficaci e praticabili per raggiungere il nostro continente, non ha visto soste né ripensamenti. Le stragi in mare anzi, sono state motivo come a Cutro, per incentivare la guerra ai sopravvissuti.
Come nella parabola della vigna, letta all’Angelus l’altro ieri dal Papa, le istituzioni, davanti allo scempio del 3 ottobre del 2013, hanno risposto come il figlio “obbediente”: certo che faremo in modo che non accada più. Ma hanno fatto e fanno il contrario. Hanno versato lacrime ed erano false ed ipocrite, perché già progettavano altre strategie di morte contro chi grida aiuto e chiede accoglienza. Peccatori siamo tutti ha detto il Papa, ma corrotti, nell’anima e nel cuore, quello è molto peggio. Questa corruzione culturale profonda, che intacca inesorabilmente i pilastri sui quali poggia la stessa idea di civiltà, ha trasformato politici e governi in assassini e il Mediterraneo in una scena del crimine, che non è tragedia, ma crimine volutamente e consapevolmente perseguito.
Confermando lo ius belli, i governi in guerra contro i migranti, possono mentire: li avete mai sentiti chiedere scusa per il Patto Italia-Libia, varato quattro anni dopo quel 3 ottobre, con il quale si finanziano lager e milizie per catturare, uccidere e imprigionare donne uomini e bambini? Li avete mai sentiti chiedere perdono alle famiglie delle vittime dopo la strage, evitabile, di Cutro? Non li sentirete mai. Essi sono in guerra, sono generali e colonnelli di quella “sovranità” che si conquista solo inventandosi nemici, possibilmente inermi ed indifesi, che così è più facile dimostrare ai propri elettori, quanto si è bravi e forti.
Il “popolo di elettori” non ha bisogno di guide, che con l’esempio della loro vita, lo conducano nella Terra Promessa. Ha bisogno di imperatori, che organizzino al Circo Massimo lo spettacolo dei cristiani divorati dai leoni. Ma quale è dunque la maniera migliore per ricordare quel 3 ottobre? La disperazione dei vinti, tutti noi, difronte alla ferocia di chi comanda e ha deciso di fare guerra ai nostri fratelli e sorelle del Mediterraneo? Anche la disperazione e la rabbia impotente, sono forme di corruzione alla lunga.
“Spes contra spem”, sperare contro la speranza, e gioire per chi, nonostante la guerra sporca dei potenti, ce l’ha fatta. La giustizia per i nostri morti, risiede nelle vite di coloro che hanno sconfitto la morte e continuano il cammino. E allora la gioia per quei 130mila che sono arrivati vivi quest’anno a Lampedusa, è la maniera migliore per celebrare il ricordo di quelli che sono stati costretti a morire. E organizzare soccorso in mare e in terra, organizzare la liberazione e la fuga dai campi di concentramento. Organizzare il nostro popolo di “pietre di scarto”, perché con quelle pietre noi costruiremo la casa comune del Mediterraneo.