Lo scontro Roma-Berlino
Intervista a Ferdinando Nelli Feroci: “Ormai siamo in campagna elettorale, anche a Berlino si balla sull’immigrazione”
«È un tema sensibile per tutti i paesi europei, ma l’escalation di polemiche con la Germania preoccupa: se c’è una cosa di cui non abbiamo bisogno è uno scontro frontale con un partner così importante».
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Lo scontro Roma-Berlino, la politica estera di Meloni, le elezioni europee. Abbiamo intervistato l’Ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai). Diplomatico di carriera dal 1972 al 2013, è stato Rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione Europea a Bruxelles (2008-2013), capo di gabinetto (2006-2008) e direttore generale per l’integrazione europea (2004-2006) presso il Ministero degli Esteri. L’ambasciatore Nelli Feroci ha anche ricoperto l’incarico di Commissario europeo per l’industria e l’imprenditoria nella Commissione Barroso II nel 2014.
Il governo italiano, dalla presidente del Consiglio al vice premier e al ministro della Difesa, continuano a lanciare strali contro la Germania.
Le polemiche di questi giorni, questo scontro tra il governo italiano e quello tedesco, confermano che quello dei flussi migratori è un tema sensibile ovunque, non solo in Italia, e che ogni Paese ha le sue sensibilità ed è difficilissimo trovare una sintesi che tenga conto in qualche modo degli interessi e delle preoccupazioni di tutti. Vale per l’Italia, vale per la Germania, vale più o meno per tutti i Paesi europei. Ma c’è da rimarcare che gli interessi nazionali, i sovranismi, su questo tema si scontrano in maniera più che evidente, clamorosa. Assisto con una certa preoccupazione a questo crescendo di polemiche da parte italiana nei confronti del governo tedesco.
Perché, ambasciatore Nelli Feroci?
Se c’è una cosa di cui non abbiamo bisogno è proprio questo: uno scontro frontale con un partner così importante in Europa come è la Germania. Altra considerazione da fare è che siamo tutti delle democrazie, in Italia come in Germania, con le loro dinamiche e che ci piaccia o no, siamo entrati in campagna elettorale. Questo spiega certe iper sensibilità da una parte e dall’altra. In Italia siamo in presenza di una sorta di conflittualità all’interno della maggioranza di governo, purtroppo l’opposizione si nota poco. Una conflittualità che si alimenta soprattutto su questi temi identitari. Abbiamo un partito, la Lega, che con Salvini sta cercando di fare concorrenza a Fratelli d’Italia di Meloni sulla questione dell’immigrazione, ed è ovvio che queste polemiche da parte di esponenti di governo nei confronti della Germania sono soprattutto un tentativo di recuperare terreno rispetto alla Lega più che rispetto alla Germania.
E in Germania?
È un tema altrettanto sensibile e divisivo. Lo abbiamo visto anche in questi giorni. I Verdi sono su posizioni molo diverse dagli altri due partiti componenti la maggioranza, in particolare dai Liberali, ma hanno differenze anche rispetto ai socialdemocratici del cancelliere Scholz. Anche lì ci sono dinamiche che corrispondono a quelle proprie di una maggioranza composita, differenziata, come è anche quella tedesca, nella quale quello migratorio è diventato uno dei temi su cui si giocano gli equilibri della maggioranza stessa.
Identità e interessi nazionali. Quanto all’identità, questo governo, a cominciare dalla presidente del Consiglio, sembra guardare più ad Est, Ungheria, Polonia, ma gli interessi nazionali non dovrebbero portare l’Italia ad avere più riguardo verso i Paesi dell’occidente europeo, in particolare Germania e Francia?
Prima delle elezioni e dell’insediamento dell’esecutivo, ci si attendeva uno spostamento dell’attenzione del governo italiano di centrodestra molto più sui Paesi dell’Europa centro-orientale, su quello che una volta era il Gruppo di Visegrad, di quanto poi in effetti sia avvenuto. All’atto pratico, Meloni sta giocando di sponda, via via con chi trova come un possibile alleato. Non c’è una linea retta che guida le scelte del governo sotto questo profilo. Ci sono oscillazioni continue, per esempio c’è stato un stato un sintomatico riavvicinamento, sempre sui temi migratori, con la Francia. Se ci sono Paesi che sui temi migratori non hanno mai mostrato la benché minima solidarietà nei confronti dell’Italia, sono proprio i Paesi dell’Europa centro-orientale, a partire dalla Polonia e l’Ungheria. È difficile trovare da quelle parti convergenze e alleanze. Credo che questo la presidente del Consiglio l’abbia perfettamente capito. Poi, però, intervengono delle dinamiche che sono più di politica interna, che spiegano il perché si finisca col polemizzare con quello che dovrebbe essere un nostro alleato naturale, come la Germania, ed evitare invece di polemizzare con Paesi che sono distanti in maniera molto evidente dalle nostre sensibilità ad esempio sui temi migratori.
Un Paese che intende contare sullo scenario internazionale e pesare in Europa, può avere una politica estera di sponda?
Dipende. Nel senso che se gestita bene può anche essere conveniente. Però bisognerebbe sempre avere presenti quelli che sono gli interessi più importanti, essenziali, per un Paese come l’Italia rispetto al contesto europeo. Personalmente sono convinto che i nostri interessi debbano essere molto più convergenti con quelli dell’asse franco-tedesco, tanto per intenderci. Però possono esserci delle situazioni, delle circostanze, in cui non è detto che necessariamente noi ci dobbiamo riconoscere nella linea della coppia franco-tedesca. Bisognerebbe sapere giocare con abilità, avendo ben presenti alcuni assi portanti della nostra collocazione in Europa. Sapendo, ad esempio, che sul Mediterraneo e su quello che si può fare nei confronti dei Paesi della sponda Sud e dell’Africa, dovremmo contare di più sui nostri partners dell’Europa meridionale, Francia, Spagna, Grecia. Sappiamo perfettamente che su altre questioni, come la governance economica, magari anche sulla riforma del patto di stabilità, non si potrà fare a meno di una intesa con la Germania. E su questo è molto più facile trovare convergenze con Francia e Spagna. Avendo contezza, però, che alla fine i conti si devono comunque fare con la Germania. È un gioco molto complesso, quello delle alleanze in Europa. Per gestirlo bisognerebbe abbandonare ideologia e schieramenti politici e cercare di vedere dove effettivamente si colloca l’interesse del Paese.
Uno dei punti di forza della politica estera italiana, nella prima Repubblica, era la forte vocazione mediterranea. Oggi cosa è rimasto di quella “vocazione”, al di là del tanto declamato “Piano Mattei”?
Più che vocazione, io credo che ci sia un interesse forte, fin troppo evidente, del sistema-Paese, quale che sia il colore del governo in carica, a garantire condizioni di stabilità, sicurezza, benessere, prosperità in una regione per noi così vicina, di fatto il nostro confine meridionale. Il problema è di vedere come riuscire a declinare una nostra presenza efficace in un’area così complicata come è quella del Mediterraneo, dove si ha spesso a che fare con regimi instabili, con mille problemi interni e che non sono sempre disponibili a farsi coinvolgere in operazioni di gestione della stabilità. Non è un’area semplice da gestire. Sicuramente c’è un interesse preminente italiano nei confronti di quella regione e più in generale nei confronti dell’Africa. Quanto al “Piano Mattei”, per ora resta un oggetto misterioso. L’idea di fondo, è una idea ottima, ma bisogna vedere come verrà declinato. Io non credo che l’Italia da sola si possa sobbarcare un piano di partenariato con l’Africa come quello che sembrerebbe lasciare intendere l’idea del “Piano Mattei”. Se si vuole passare dalla narrazione ad una possibile fase realizzativa, occorrerà per lo meno coinvolgere il resto dell’Unione Europea.
Qual è la vera posta in gioca nelle elezioni europee del prossimo anno?
Di poste in gioco ce ne sono tante. Una molto importante riguarda il governo dell’economia. Non è soltanto la riforma del patto di stabilità, delle regole in materia di disciplina fiscale che spero si risolva prima della fine del 2023, ma più in generale l’idea di una governance economica che si articoli anche con strumenti che consentano, per esempio, di dotare l’Unione Europea di una capacità fiscale o di un bilancio che sia in grado di far fronte a crisi emergenziali, magari una replica del Next Generation Eu. Su questo credo che già in campagna elettorale sarebbe importante cominciare a mettere dei paletti, comunque a delineare con nettezza le posizioni in materia. Poi c’è un tema molto delicato che è quello della transizione energetica. Personalmente sono convinto che non ci siano alternative, che bisogna andare avanti con decisione, determinazione per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati. Però c’è un problema ineludibile di distribuzione dei costi. Costi economici, sociali. Un problema di capire come gestire una transizione che ha costi differenziati a seconda delle categorie professionali, a seconda dei settori industriali. Anche questo sarà un tema complicato su cui immagino, o almeno mi auguro, che si parlerà molto in campagna elettorale. Last but not least, c’è il tema della gestione dei flussi migratori. E anche su questo constatiamo ogni giorno come sia difficilissimo trovare una posizione comune, una linea condivisa nell’Unione Europea.
Lei ha parlato di un sistema fiscale europeo, si potrebbe aggiungere di un sistema di difesa e di una politica estera comuni. Il che rimanda all’idea “spinelliana” degli Stati Uniti d’Europa. È un libro dei sogni che va chiuso per sempre?
Io non ho citato il tema del protagonismo dell’Unione Europea sulla scena internazionale, di una politica estera che sia effettivamente comune ed incisiva, di una difesa europea che sia un po’ più credibile, semplicemente perché non credo che possano essere temi che scaldino una campagna elettorale. Ma restano obiettivi fondamentali che si dovrebbero avere presenti anche nella prossima legislatura europea. Non ci dobbiamo aspettare miracoli, perché costruire una politica estera comune è estremamente difficile, lo constatiamo quotidianamente, e la regola dell’unanimità di certo non aiuta. Non possiamo aspettarci miracoli neanche in materia di difesa comune. Ma la linea su cui ci si deve muovere è proprio quella di una Unione che sia in grado di essere più protagonista sulla scena internazionale, magari anche con maggiori capacità anche nel campo della difesa e militari.