La fenomenologia della premier

Chi è Giorgia Meloni, la premier che si sogna statista: la presidente del Consiglio per gli acquisti…

Imbarazzata dai cocenti flop in economia e dalle gaffe dei suoi congiunti, Giorgia si dedica davvero allo Stato: quello con la Esse lunga, con indosso una giacca a metà tra Napoleone e il facchino d’albergo...

Editoriali - di Michele Prospero - 5 Ottobre 2023

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Chi è Giorgia Meloni, la premier che si sogna statista: la presidente del Consiglio per gli acquisti…

Ad un anno dal settembre nero, sulle qualità di statista della “mamma di ferro” – come la chiama Mario Sechi – i commentatori sembrano aver raccolto più granchi del vispo cognato di Stato con delega alla Sovranità alimentare di terra, di mare e dell’aria. Marco Damilano aveva salutato il trionfo elettorale di Meloni come “il ritorno della politica”. Più che altro, con la tempestiva decisione di gettare in pasto alle agenzie le preferenze di Palazzo Chigi su uno spot pubblicitario (“leggo di polemiche, io lo trovo molto bello e toccante”), ad essersi riaffacciato è un solerte presidente del Consiglio per gli acquisti.

Il dirigismo made in Roma Sud, che con un decreto retroattivo cercava di pizzicare gli extraprofitti delle banche ed elargire qualche bonus, si è allargato in un pervasivo interventismo statale che decide quale sia la réclame giusta per accrescere il lucro dei supermercati. Altro che la politica, è tornato lo Stato, quello con la “esse” lunga! La grande chef di governo, che sogna di mettere mano all’“Opera nazionale Barilla” per mobilitare la gioventù del lattosio nei “Licei del Made in Italy”, adesso olia gli ingranaggi dell’economia domestica grazie alla campagna promozionale di una pesca assurta a modello della corretta dieta di una famiglia tradizionale.

Al governo non ne va bene una. Perciò Meloni fa altro, inventa storie per liberarsi dall’incubo del complotto dei tecnici. Ben si comprende il senso del suo grido di battaglia: “La famiglia è sotto attacco. La donna è madre e architrave della famiglia”. La condottiera difende il conduttore gaffeur (l’ultima è quella sulla “transumanza dei migranti”), l’ex mezzobusto promosso a performer a busto intero Giambruno:un giornalista attaccato perché vuole bene a me”. A chi l’accusa di avere scarsa cognizione del diritto internazionale ricorda la sua privata convenzione di Ginevra, nel senso della figlioletta che porta con sé un po’ ovunque: “Ho il diritto di fare la madre come ritengo e ho diritto di fare tutto quello che posso per questa Nazione senza per questo privare Ginevra di una madre”.

Alla morale della nonna, Meloni, si affida per regalare pillole di saggezza contro la trasandatezza dei costumi postmoderni. Per le giovani che escono di casa in vena di svago, ecco servita, a scopo di difesa preventiva dal possibile lupo in agguato, la buona ricetta degli anziani: “occhi aperti e testa sulle spalle”. E per stare in guardia dai Gabbiani, che scalpitano in un vorace non-partito che non ha mai celebrato un vero congresso, acciuffa il filo di Arianna al fine di controllare l’organizzazione come una famiglia che dispensa premi e castighi agli affiliati. A Lollobrigida, che vuole introdurre il vino negli eventi sportivi, dà la delega per oltrepassare il compassato Stato etico gentiliano a vantaggio di un più frizzantino Stato etilico che saldi benessere fisico e bollicine.

Non è però solo il reparto alcolici a ricevere le attenzioni di Palazzo Chigi in vista di un ordinamento progettato – sulle orme di un mal orecchiato Fichte – come “centro commerciale chiuso”. Per stilare la lista dei beni acquistabili con la Carta della povertà, interessano al governo del buon pasto, oltre a pane e pesce, anche i prodotti surgelati, severamente banditi dall’elenco. E però congelati nelle mani di Meloni, che era andata a Forlì giusto per farsi riprendere in un filmato con un camerata che la santificava nel limo, sembrano soprattutto i fondi destinati alle zone alluvionate. In terra di Romagna, dove si invocano risorse per ripartire dopo il fango, la donna che con il cappello degli alpini aveva proclamato “la patria è la nostra seconda mamma” ha inviato il generale, il Figliolo della lupa che nell’attesa del miracolo emiliano fa solamente riveder le stellette.

Contattata per corrispondenza da un loquace parroco di periferia, che confonde le vie dello Spirito con la passerella tra le macchine da presa, assieme a mezzo governo la premier si precipita a Caivano per ordinare “la bonifica”. Dichiarata la guerra lampo sotto il cielo illuminato dal fuoco delle telecamere, regala ai soldati i quindici minuti di gloria per la riconquista del suolo malfamato attraverso una occupazione a colpi di canone (televisivo). Meloni, che aprirebbe le galere ad ogni organizzatore di sbornie nelle periferie derelitte, ha però anche un volto caritatevole, e così intima ai minori che emigrano “bambini venite parvulos”: nei Centri per il rimpatrio c’è spazio per tutti, sempre che non si menta sull’età dell’innocenza, pena l’espulsione; per i grandi bastano invece cinquemila euro in tasca, questo è il prezzo giusto per non finire reclusi.

Si capisce l’ispirazione etica sublime che fa dire alla sovranista rifugiata nel Torrino di guardia che lei è al governo solo per “difendere Dio”. Con la riesumazione di una teologia politica all’amatriciana, Meloni crede di aver ottenuto la guida della Nazione in una guerra di religione. Forse, da quando tutta di bianco vestita ha toccato il braccio del Papa, ritiene di aver partecipato a tutti gli effetti al rito di auto-investitura che l’ha tramutata in comandante cristiana nella crociata contro gli infedeli.

Quando novanta naufraghi furono mangiati dalle onde, e sulle coste di Cutro comparvero i pupazzi mollati dai corpicini senza più vita, l’esecutivo mostrò il nobile moto d’animo della coppia nero-verde. Per gestire le conseguenze del dolore, il presidente del Consiglio improvvisò con Salvini un duo “neo-Melonico” sulle note de “La Canzone di Marinella”, che proprio di un cadavere lasciato in acqua tratta. La madre e cristiana, affranta dal senso del tragico, ha poi con tatto chiesto ai parenti delle vittime accorsi a Palazzo Chigi se fossero “consapevoli dei rischi delle traversate”. La sua recente declamazione all’Onu per una “guerra globale” contro l’accoglienza dei rifugiati è entrata di diritto tra le orazioni memorabili pronunciate da una timoniera che non intende trasformare il belpaese nel “campo profughi d’Europa”.

Per questo sul Corriere fioccano gli elogi per la politica estera imposta dalla patriota che ha incassato acclamazioni nientemeno che in Ungheria. In effetti, Meloni ha sfidato dapprima Macron, senza però ottenere nulla, salvo poi cercare una riconciliazione sfilando al fianco del capo dell’Eliseo con indosso una vistosa giacca a metà strada tra la citazione napoleonica e una divisa da facchino d’albergo. Non paga, dopo che il consorte aveva già attaccato in diretta un ministro tedesco reo di non voler trascorrere le vacanze nell’afa italiana, ha preso carta e penna per protestare direttamente con il cancelliere Scholz (“non si fa solidarietà con i confini altrui”), suscitando ilarità in tutti gli osservatori del globo terracqueo.

Prima di congedarsi dallo zio d’America, volando alta nei cieli della fantasia, la statista dipinta su La Stampa come una novella Angela Merkel al vertice dell’“esecutivo che salva e accoglie i migranti” aveva raccontato un mondo di favola annunciando che “l’Italia cresce più di altri nei dati economici”. E si era abbandonata alla narrazione di uno strabiliante Paese che come nuova locomotiva d’Europa correva sotto la sua leggendaria sferza infrangendo ogni record nella occupazione, nella crescita, nella reputazione internazionale. La Nota di aggiornamento al Def, in realtà, non è che un funambolico esercizio per trovare spiccioli, in modo da spostare da un rigo all’altro qualche spesa. Come segno tangibile della sua opera non restano che “gli appunti di Giorgia”, non proprio i discorsi di Churchill, forse nemmeno i fantomatici diari di Mussolini.

Il Duce ci ha messo del tempo prima di fascistizzare l’editoria. Giorgia ha invece risolto la faccenda in un attimo e non ha avuto neppure bisogno di leggi speciali o della rimozione di direttori riluttanti. La grande stampa le si è consegnata spontaneamente e con guizzo olimpico. A schizzare in testa nell’affollata corsa senza ostacoli è stata Repubblica. Su quelle colonne, una giornalista concitata, che ha confessato di avere nostalgia delle “differenziali” dove gli insegnanti di sostegno potevano prendersi cura di “cretini integrali”, “decerebrati assoluti” e “deficienti”, è stata la più lesta a conquistare l’oro per aver certificato, con enfasi letteraria e gusto per l’enumerazione, che con Meloni “è nata una leader”, capace di un eloquio “impeccabile, convinto, competente, appassionato, libero, sincero”, addirittura “una fuoriclasse”.

Più che sui libri di storia, dove ambivano a trovare una menzione i politici di una volta, Meloni va in giro alla ricerca di un selfie con qualcuno che conti davvero, perché aspira a un posto fisso nel catalogo dei vestiti griffati che a dozzine sfoggia. Da quando ha archiviato i panni della underdog, non esita a cullarsi tra gli sfarzi della persona potente che, introdottasi a sorpresa in certi giri, esibisce come simbolo di prestigio la fresca villa milionaria con piscina.

Il ministro-cognato sembra però preoccupato da quest’andazzo tipico di chi si sente ormai arrivato e si affloscia nel dorato mondo delle élite. Il governante domestico di Tivoli ha quindi indirettamente proposto allo Stato di famiglia di non rilassarsi più nelle lussuose masserie di Puglia, dove i ricchi buttano soldi e mangiano schifezze. Per assaporare cibo di qualità – ha esclamato – bisogna andare alla mensa dei poveri. Che da Palazzo Chigi il marito di Arianna stia forse sollecitando un trasferimento immediato a Colle Oppio, naturalmente al refettorio per i veri buongustai, quello della Caritas così vicino ai luoghi mitici del loro apprendistato in nero?

5 Ottobre 2023

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