L’Esortazione Apostolica
Il monito di Papa Francesco: rimettere l’uomo al centro per salvare il pianeta
Il Laudate Deum del Pontefice e la condanna di un modello di sviluppo che ci ha portati sull’orlo del baratro
Editoriali - di Mario Marazziti
Papa Francesco continua ad essere la nostra coscienza collettiva, in un mondo che ne ha bisogno più che mai perché appare preso da altro e perché tanti, anche governi e istituzioni internazionali sperano di fare le cose giuste al minimo costo, ingabbiati in altre logiche. Ma il mondo, così, muore e tanti ne pagano già le spese. È un regalo ai governi, alle istituzioni internazionali e a tutti noi perché rischiamo di essere travolti nelle esitazioni della transizione energetica e nella crisi del cambiamento climatico.
Il dono del Papa giunge nel giorno di San Francesco attraverso l’Esortazione Apostolica a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica. È un discorso all’umanità, un invito anche ai credenti delle altre religioni e a chi non lo è, e solo al termine si rivolge ai cristiani in maniera più diretta. Segue di otto anni l’enciclica Laudato sì, che nasce dal fatto che la situazione del mondo è peggiorata, e ne costituisce quasi l’appendice scientifica. Rappresenta un punto definitivo, dettagliato, che con documentazione e serenità preoccupata, sgombra il campo dalle narrazioni e dalle contro-narrazioni sul riscaldamento globale, sul negazionismo, su che cosa fare. E unisce le riforme nei meccanismi decisionali e di controllo dei governi e delle istituzioni internazionali al ragionamento sulle cause, anche etiche, di quello che finora è un preoccupante regresso e fallimento globale, fino ai comportamenti personali come fattore rilevante per il necessario cambio di paradigma e culturale.
Papa Francesco registra il fatto che gli stati e il mondo, pur sapendo, non trovano la forza di fare le cose giuste, e prova a offrire le motivazioni e le strade per trovare quel coraggio etico che finora le classi dirigenti internazionali non sanno darsi. Conosce le grandi forze che spingono, in maniera miope, verso interessi di breve periodo e solo nazionali, come pure i giganteschi interessi economici che confondono la narrazione e – contro i loro stessi interessi – le opinioni pubbliche. Papa Francesco offre un paracadute al mondo prima che sia troppo tardi. Sa e spiega come alla radice di questo suicidio dell’umanità, dolce per chi sta meglio e già amaro per chi sta peggio vede una tentazione antica: “farsi come Dio”. Di qui il titolo: “Lodate Dio è il nome di questa lettera. Perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso”.
E di qui la decisione di “condividere con tutti voi, sorelle e fratelli del nostro pianeta sofferente, le mie accorate preoccupazioni per la cura della nostra casa comune. Ma, con il passare del tempo, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura”. Il mondo – difficile non essere d’accordo – non è nostro: “La Bibbia racconta che «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31). Sua è «la terra e quanto essa contiene» (Dt 10,14). Perciò Egli ci dice: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Lv 25,23). Pertanto, questa responsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo”.
Al centro c’è una delle affermazioni centrali della Laudato sì, tanto vera da non avere innescato grandi cambiamenti, che segnerebbero una inversione di tendenza nei modelli sociali, economici e di sviluppo. È quello che il papa chiama il “paradigma tecnocratico”, che è alla base dell’attuale processo di degrado ambientale. E cioè “un modo di comprendere la vita e l’azione umana che è deviato e che contraddice la realtà fino al punto di rovinarla”. In sostanza, consiste nel pensare “come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia”. Il paradigma tecnocratico come malattia del mondo, senza Dio e contro le donne e gli uomini concreti, resi irrilevanti: “Come conseguenza logica, da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia”.
Nella visione del papa tutto si tiene: crescita infinita e senso di onnipotenza, potenza dei poteri forti nei mercati e di una tecnologia indipendente dal primato dell’uomo, assenza del senso del limite, nella vita e nella ricerca, una quasi-onnipotenza – accettata nella cultura contemporanea anche sotto la spinta di campagne di pensiero – indipendente dalla centralità umana. Molti i passaggi che basterebbero, se tenuti a mente, a innescare un cambiamento, anche personale, ritrovando il gusto al bene comune: “Dio ci ha uniti a tutte le sue creature. Eppure, il paradigma tecnocratico può isolarci da ciò che ci circonda e ci inganna facendoci dimenticare che il mondo intero è una “zona di contatto”.
Papa Francesco ci riconsegna una visione in cui le persone sono al centro della vita, ma non in maniera predatoria ed esclusiva. È quello che chiama l’“antropocentrismo situato”. Vale a dire, riconoscere che la vita umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature. È già un’agenda per Cop 28, la Conferenza mondiale Onu sul cambiamento climatico. Ma è un’agenda per il futuro del mondo che dipende da tutti noi.