Il Ministro Nordio ha risposto all’interrogazione del deputato di Italia Viva Roberto Giachetti, avente ad oggetto una presunta lesione del diritto di difesa di un detenuto con pena definitiva ristretto al Pagliarelli di Palermo. I fatti: l’avvocato marsalese Vito Cimiotta ha presentato una denuncia perché al suo assistito «è stato imposto di specificare i motivi specifici che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta di colloquio telefonico con il suo difensore. L’avvocato ha inviato una segnalazione anche alla Ong Nessuno tocchi Caino».
Secondo quanto riferito all’interrogante dalla presidente di Nessuno tocchi Caino, Rita Bernardini, «la prassi di dover motivare la richiesta di colloquio telefonico con il difensore è diffusa in molti istituti penitenziari, soprattutto per i detenuti condannati a pena definitiva». Pertanto Giachetti ha chiesto delucidazioni al Guardasigilli che ha fornito una complessa risposta. In pratica «Richiedere ai ristretti di precisare i motivi processuali o valutare la vicinanza temporale del colloquio visivo con il difensore, non risponde per la direzione penitenziaria a un rigetto in senso assoluto, bensì all’applicazione più autentica del principio di equità che, nel caso di specie, si traduce nella valutazione differenziata dei casi pratici di volta in volta posti all’attenzione dell’Autorità competente a decidere, proprio in virtù delle differenze oggettive che li caratterizzano».
Da «verifiche effettuate a campione, sono emerse modalità organizzative differenti: vi sono infatti istituti penitenziari dove i detenuti, sia comuni che alta sicurezza, possono contattare i difensori tutti i giorni senza alcun limite quantitativo e vi sono istituti dove invece i detenuti possono fruire di un numero limitato di telefonate ordinarie, per cui, se chiedono di effettuare ulteriori telefonate, queste vengono conteggiate come straordinarie e devono presentare apposita istanza autorizzata dal Direttore». Per Nordio «il diritto al colloquio col difensore — sia esso visivo o telefonico — non può ritenersi suscettibile di compressione; nel suo concreto esercizio, tuttavia, e ragionevolmente, esso potrà essere modulato — e non bilanciato — rispetto agli altri interessi in gioco e segnatamente alle esigenze tecnico-materiali e organizzative dell’istituto di pena».
Commenta Rita Bernardini, Presidente di Nessuno Tocchi Caino: “Io non so chi prepara le risposte a Nordio, certo è che potrebbe dare un’occhiata prima di metterci la firma. Nella sostanza, si ribadisce che per parlare con il proprio difensore i detenuti definitivi devono essere autorizzati dalla Direzione indicando nella richiesta i motivi per i quali si intenda telefonare. Il diritto di difesa, viene scritto nero su bianco, viene così compromesso nella fase dell’esecuzione penale. Mi chiedo: se un detenuto deve consultarsi con il proprio legale perché ha subito un pestaggio, ha senso che motivi al Direttore la sua richiesta?”.