La sentenza di Catania
Il giudice Apostolico e i precedenti di Nordio e Gratteri: quando a destra le interferenze dei magistrati vanno bene
Perché un africano ventenne che chiede protezione per poter continuare a studiare e lavorare viene trattato in questo modo, nell’Italia che si protegge dall’invasione, viene trattato come un criminale da espellere
Editoriali - di Iuri Maria Prado
Non sappiamo se esistano filmati che riprendono quest’altra giudice (siamo al tribunale di Bologna, questa volta) in posture di sedizione antigovernativa, o magari con le dita nel naso. È verosimile che si indagherà, come verosimilmente si sta indagando a proposito dei magistrati fiorentini (erano tre, accidenti: un lavoraccio) che l’altro giorno, come poi avrebbe fatto la giudice catanese presa in castagna da Salvini, esaminavano i provvedimenti butta-fuori assunti in omaggio alla normativa spazza-migranti approvata dal governo e li sospendevano per contrasto con la preminente disciplina europea.
Ma prima di dare conto di questa nuova decisione sull’argomento (in realtà è precedente, perché rimonta al 18 settembre), e nell’attesa che il giornalismo d’inchiesta faccia il suo lavoro sul conto dei giudici turbo-immigrazionisti, vediamo di intenderci sul ritornello del magistrato che deve essere e apparire imparziale, e dunque sul suo dovere di non prendere parte al dibattito pubblico intorno a questa o quell’urgenza politica. È verissimo. Non deve farlo, ed è una scemenza l’obiezione secondo cui il magistrato, come qualunque cittadino, avrebbe il diritto di dire la sua e di partecipare attivamente alla vicenda civile e politica del Paese.
Perché il magistrato non è un cittadino qualunque ma un uomo armato: è armato del potere di giudicare le persone e di arrestare la loro libertà. E come giudicheremmo inammissibile il comportamento di un colonnello che, su una legge che non gli piace, “dice la sua” manifestando per strada con la pistola alla cintola, così dovremmo considerare fuori dal mondo che un magistrato si ritenga libero di turbare l’ordine democratico sulla scorta di un potere che è anche più invasivo e temibile rispetto a quello del militare.
Quindi è verissimo che quella giudice catanese male ha fatto a partecipare a quella manifestazione, come è verissimo che faceva male un magistrato veneziano (si chiamava Carlo Nordio) quando si lasciava andare alle sue divagazioni sulla “petulanza” di quelli che mostravano dubbi circa l’appropriatezza dei propositi leghisti in materia di legittima difesa. Col dettaglio che quella volta, quando cioè un magistrato interveniva nel pubblico dibattito non per farla fare franca agli africani che chiedono fraudolentemente asilo anche se hanno le scarpe, ma per spiegare che bisogna smetterla con la Costituzione catto-marxista che incrimina chi si difende in casa propria, quella volta, dicevo, l’interferenza del magistrato andava benissimo alla destra che infatti l’avrebbe poi candidato e fatto ministro.
Esattamente come alla destra che denuncia le passate scompostezze di quella giudice siciliana va benissimo che il dottor Nicola Gratteri, quotidianamente e da anni, intervenga in materia di carcere per dire che non bisogna svuotarle ma costruirne di più, in materia di riforme per dire quali vanno bene e quali no, in materia di droga per dire che non bisogna legalizzare nulla, in materia di Covid facendo prefazioni a libri di autori secondo i quali i vaccini erano acqua di fogna confezionati dalle multinazionali in mano agli ebrei. Diciamo dunque che siamo d’accordo: i magistrati si astengano da certe interferenze. Sempre, però. E tutti. E i politici le condannino quando ci sono. Sempre, però. E non secondo l’orientamento dell’interferenza.
E ora veniamo alla decisione del tribunale di Bologna. Anche nel caso di cui si è occupato il giudice emiliano c’era di mezzo un tunisino, cioè uno proveniente da un Paese “sicuro” solo sulla carta, la cui richiesta di protezione internazionale era stata respinta perché ritenuta “manifestamente infondata”. In particolare, gli esaminatori avevano espresso dubbi sulla credibilità della versione fornita dall’immigrato: il quale aveva riferito di essere stato sottoposto, con la madre e con il fratello, a feroci maltrattamenti da parte del padre e dello zio, di temere di esserne ancora vittima se fosse stato rimpatriato e in ogni caso di non avere possibilità di sostentamento in Tunisia.
Tutte cose cui la competente Commissione territoriale non aveva creduto, non considerando inoltre che si trattava di un ventenne, qui in Italia da oltre un anno: un ragazzo che non solo risultava perfettamente integrato nella struttura di accoglienza che lo ospitava, ma che studiava e lavorava regolarmente. Il giudice bolognese, nell’urgenza, ha invece considerato queste circostanze, spiegando che “un eventuale
provvedimento di espulsione con rimpatrio forzato disperderebbe ogni sforzo di integrazione compiuto fino ad ora” da questo ragazzo.
Si noti che qui non si trattava neppure delle più recenti norme introdotte dal governo, ma della routinaria e indebita applicazione amministrativa di quelle anteriori: quelle cui il potere pubblico pretendeva di ispirarsi per ricacciare nel Paese di origine un ragazzo che lì subiva violenza, e che qui da noi era rispettoso delle regole di accoglienza, e studiava, e lavorava. E che, se non fosse stato per quest’altro giudice bolognese, sarebbe stato trattato alla stregua di un criminale: perché un africano ventenne che chiede protezione per poter continuare a studiare e lavorare viene trattato in questo modo, nell’Italia che si protegge dall’invasione. Viene trattato come un criminale da espellere.