Chi è Yahya Sinwar, il capo di Hamas: per Israele è “un uomo morto”
Da sei anni alla guida dell'organizzazione nella Striscia, eletto dopo due settimane di trattative. È stato lui a ottenere i finanziamenti dal Qatar
Esteri - di Redazione Web
Se la mente degli attacchi senza precedenti di Hamas a Israele è Mohammed Deif, il “fantasma di Gaza”, la “primula rossa” scampata a decine di tentativi di eliminazione da parte dell’esercito israeliano, il capo del braccio armato, le brigate Ezzedin al-Qassam, a capo della fazione nella Striscia è Yihia Sinwar. Hamas, che dal 2006 controlla la Striscia di Gaza, ha rivendicato subito l’operazione “Alluvione Al-Aqsa”. L’esercito israeliano (Idf) ha definito Sinwar senza mezzi termini “un uomo morto”, tutta la “leadership militare e politica di Hamas, tutte le sue risorse, sono attaccabili e condannate”.
Sinwar è stato liberato nel 2011, lui e altri 1025 detenuti palestinesi in cambio della vita del giovane caporale Gilad Shalit. Yahya Sinwar ha 62 anni, è nato a Khan Younis, a Gaza. È stato il fondatore, negli anni ’80, della polizia politica interna ad Hamas. E tra i fondatori delle squadre paramilitari. Condannato a quattro ergastoli, per un ventennio in carcere. Quando era in cella scrisse una lettera al premier Benjamin Netanyahu, in lingua ebraica, che aveva imparato in carcere. Il governo israeliano ufficialmente non parla con Hamas. Eppure secondo diverse fonti e analisti era stato dallo stesso Netanyahu che il capo aveva ottenuto il via libera per i finanziamenti dal Qatar. È stato eletto capo dell’organizzazione dentro la Striscia sei anni fa, dopo due settimane di trattative.
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Hamas, organizzazione sunnita, è divisa al suo interno in diverse correnti. Da una parte quella che fa riferimento al Qatar, dall’altra quella legata alle posizioni dell’Iran. Secondo alcune fonti le operazioni che hanno scatenato il conflitto in corso sarebbero state organizzate sull’asse Hamas-Hezbollah-Teheran. Come ritorsione per gli attacchi israeliani in Iran, per approfittare della crisi istituzionale a Gerusalemme a causa della contestata riforma della Giustizia, in contrasto con il disgelo tra iraniani e sauditi.