È crollato quasi interamente il castello di accuse nei confronti di Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace alla sbarra assieme ad altre 17 persone nell’ambito del processo “Xenia”, nato da un’inchiesta della Guardia di Finanza sul “modello Riace” di accoglienza e inserimento dei migranti.
I giudici della Corte di Appello di Reggio Calabria hanno condannato l’ex primo cittadino ad un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, contro la richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi: stravolta completamente, o quasi, la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che gli aveva inflitto 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio per la gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel borgo locrideo in provincia di Reggio Calabria.
Lucano è stato assolto dai reati più gravi che gli venivano contestati dalla procura, venendo condannato per il solo reato di abuso d’ufficio: la Corte ha contestualmente assolto tutti gli altri 17 imputati.
I difensori dell’ex sindaco di Riace, gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, nelle loro arringhe avevano contestato la ricostruzione accusatoria chiedendo l’assoluzione per il loro assistito e parlando di “un accanimento non terapeutico“. Ma anche, come ricorda l’Ansa citando le loro parole in aula, di “uno stravolgimento dei fatti” e di “un uso distorto delle intercettazioni” per arrivare a una condanna “a ogni costo” del loro assistito.
Su una conversazione ritenuta “chiave” dai difensori, infatti, il Tribunale di Locri aveva utilizzato una trascrizione della Finanza dove c’era una frase “inesistente“, attribuita all’ex sindaco di Riace. Frase che non compare nella perizia disposta dallo stesso Tribunale. Nelle motivazioni d’appello, infatti, i due legali parlano di “lettura forzata se non surreale dei fatti“. L’obiettivo di Mimmo Lucano, piuttosto, “era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso“.
Ovvia la soddisfazione da parte dell’ex primo cittadino di Riace dopo la sentenza che smonta sostanzialmente l’impianto accusatorio della Procura. “È la fine di un incubo che in questi anni mi ha abbattuto tanto, umiliato, offeso. È la fine di un incubo che per anni, ingiustamente, mi ha reso agli occhi delle gente come un delinquente. Lucano è stato attaccato, denigrato e accusato, anche a livello politico e non solo, quindi, giudiziario, per distruggere il ‘modello Riace’, la straordinaria opportunità creata per accogliere centinaia di persone che avevano bisogno e per ridare vita e ripopolare i centri della Calabria. A questo punto spero che pure la Rai si ricreda e mandi in onda la famosa fiction girata con Fiorello a Riace”, le parole di Lucano.
Lucano, come ricorda l’Ansa, oggi non era in aula ed ha atteso il verdetto della Corte d’appello nella sua Riace. “Essendo anche io un comune e mortale essere umano – ha aggiunto – è probabile che in questa vicenda abbia commesso degli errori ma di un aspetto, in particolare, sono sicuro, molto sicuro e convinto: ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture“. “Un grande grazie, comunque – ha concluso Lucano – lo voglio rivolgere, in particolare, ai miei avvocati, al compianto Antonio Mazzone, a Pisapia e Daqua, non miei legali ma miei fratelli, uomini e professionisti che hanno capito sin da subito di avere di fronte un innocente“.