L'intervista
“Mala Fede” è il ritorno del Capitano Mariani, l’autore Giovanni Taranto: “Scrivo gialli per cazzimma”
"Giallo vesuviano" hanno definito il suo genere. Giovanni Taranto, dopo anni di giornalismo, scrive romanzi. "Al lettore dico dove guardare, non cosa vedere". Il suo protagonista nel terzo capitolo della saga indaga sul mondo delle sette sataniche, sul rapporto sconcertante tra Camorra e fede
Cronaca - di Antonio Lamorte
Racconta che quando faceva il giornalista per anni è uscito di casa armato, una pistola sotto la giacca. Quando andava nei locali si sedeva sempre in maniera da tenere sotto controllo l’ingresso, chi entrava soprattutto. E minacce, aggressioni, lettere minatorie, proiettili, danneggiamenti alle proprietà, la famiglia mandata per qualche tempo lontana da Torre Annunziata. Quando Giovanni Taranto conduceva la trasmissione Cosa Loro – Fatti di Camorra e Mafia all’ombra del Vesuvio e gli spedirono due proiettili in redazione, prima che arrivassero i carabinieri scattò due foto e chiamò i grafici. “Gli feci fare il logo per Cosa Loro II, la seconda stagione, dove il 2 erano i due proiettili”, racconta a L’Unità. Da pochi giorni è tornato in libreria con il suo nuovo romanzo.
Si chiama Mala Fede, edito da Avagliano Editore (gli stessi tipi che pubblicarono Francesca e Nunziata di Maria Orsini Natale, semifinalista al Premio Strega nel 1995). È il terzo episodio della saga del Capitano Giulio Mariani. Nell’esordio, La Fiamma Spezzata, il Capitano indagava sulla misteriosa scomparsa del giovane carabiniere Ciro Casillo. Il secondo capitolo, Requiem sull’ottava nota, ha vinto il Premio MyssterY al Festival del Giallo di Napoli. Il comandante della compagnia di San Gioacchino Vesuviano (Gioacchinopoli è stato uno dei nomi di Torre Annunziata) in Mala Fede sarà alle prese con le indagini su una vendetta, un piano diabolico per rubare un oggetto-simbolo caro a milioni di fedeli, il giro delle sette sataniche nel napoletano. Giallo vulcanico, hanno definito così il genere dei suoi romanzi.
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“Io nei miei libri metto dati reali, gli episodi sono reali. La trama è di fantasia. Resto un cronista ma scrivo romanzi. Non si dev’essere per forza pulp per raccontare queste vicende, anche quello è fasullo. Non sono compiacente verso il protagonista, i miei boss non sono quelli delle serie tv, sono reali, quelli con i rubinetti d’oro in casa ma in maglietta della salute”. Giovanni Taranto è stato tra i fondatori di Metropolis Network, è condirettore di Social News, house organ di Auxilia onlus, e vicepresidente della Commissione legalità dell’Ordine dei giornalisti della Campania. Dal 2019 al 2021 ha presieduto l’Osservatorio permanente per la legalità oplontino, è un operativo del Gruppo di Fatto della sezione di Pompei dell’Associazione Nazionale Carabinieri ed è cintura nera 7° Dan di Taekwondo e 4° Dan di Hapkido, è Grand Master Unitam/Song Moo Kwan. “Al lettore dico dove guardare, non cosa vedere”.
In che direzione indica questa volta il Capitano Mariani?
“L’indagine è insolita, la vicenda anomala. Diversa dalle altre, io scrivo libri in ordine temporale. Il primo era ambientato nel periodo di Natale ed Epifania, al secondo eravamo a Pasqua, ora siamo a maggio, primavera. L’indagine tocca crimini insoliti. Si intrecciano segnali mistici ed episodi sconcertanti. Sta succedendo qualcosa di soprannaturale e maligno, Mariani indaga. Emerge la presenza sotterranea delle sette, si incrociano le indagini dell’Arma con quelle dei Servizi vaticani e gli interessi della Camorra sul territorio, che non sono soltanto economici. Quando si tocca la fede anche la Camorra si sente toccata. La criminalità vanta primati anche nel campo della religione, si arroga il diritto di usare e di appropriarsi dei simboli della religione a suo piacimento. Le consorterie mafiose nella loro tradizione reclamano un rapporto quasi diretto con la divinità”.
Sullo sfondo si staglia la figura di Bartolo Longo, fondatore del Santuario di Pompei ma protagonista di un passato oscuro.
“Quando raccoglievo il materiale per il romanzo, mi sono tolto lo sfizio di fare una specie di sondaggio a Pompei. Ho visitato la stanza di Longo, alcune tabelle riportano in maniera che potremmo definire soft quel periodo di Longo. Ho chiacchierato con turisti e fedeli, soltanto uno su venti aveva una minima nozione di quel passato del beato. Era partito da una fede bambina per poi diventare un sacerdote di Satana e infine riscoprire la fede in un percorso molto travagliato. Ha edificato il Santuario di Pompei, ha diffuso la pratica del Rosario e ha inventato la supplica alla Madonna di Pompei, la prima invocazione in assoluto della Chiesa Cattolica in cui i fedeli danno del tu alla Madonna e che è stata approvata dalla Chiesa. Nel romanzo, in alcune ricostruzioni, uso sue frasi autentiche”.
Perché ha scelto di scrivere romanzi, dopo anni e anni di giornalismo sul campo, com’è nata la saga?
“Ho scelto la strada del romanzo giallo per cazzimma. Come cronista, per anni, mi ero accorto che a un certo punto si alza una barriera: la gente non ce la fa più, a leggere e sentire di queste cose. Le immagini e le parole le scivolano addosso. Scrivevo inchieste su Camorra, la Mafia del Vesuvio, grandi traffici di droga ed esseri umani, reclutamenti di minorenni. Il messaggio non arrivava. Scoperta una capacità di narrazione, le stesse cose le ho prese e le ho messe in un romanzo giallo. È come se fosse zucchero su una pillola amara. Il lettore non se ne stacca più, anzi è lui a chiedermi la prossima pagina, il prossimo capitolo, il prossimo libro”.
Lei ha portato la Citroën Mehari di Giancarlo Siani fino al PAN di Napoli. Come l’ha conosciuto?
“Al liceo classico Benedetto Croce, facevo il rappresentante di istituto. Ci incontravamo spesso perché lui scriveva anche delle proteste studentesche. Mi chiese cosa volessi fare dopo il diploma: il giornalista. E lui mi disse: ma chi te lo fa fare. E io gli chiesi: e a te, chi te lo fa fare? Mi sorrise. Abbiamo lavorato insieme, io ero il giornalista giovane che cominciava, lui per me era il giornalista arrivato, il cronista corrispondente de Il Mattino. Era un talento, oggi probabilmente sarebbe un grande direttore di testata. Sicuramente non voleva essere il santino che ne hanno fatto. La famiglia e la fondazione Polis chiamarono me per portare la sua Mehari al PAN perché mi occupavo ancora di cronaca nera, di Camorra, di Torre Annunziata”.
L’anno prossimo, dopo due scioglimenti negli ultimi quindici anni, la città torna al voto, alle elezioni comunali.
“Torre Annunziata deve fare il grande passo, il grande salto. Prendere la situazione in mano, fare una scelta di responsabilità, schierandosi per la legalità e l’autodeterminazione e avendo il coraggio di staccarsi da una serie di scelte politiche e amministrative legate al passato. Non perché ci sia sempre il legame con il voto di scambio o con la criminalità, ma ci vuole una sterzata in questo senso”.